L’indulgenza del cielo. La modernità di Mario Trufelli fra Cartesio e Pasolini

 

Mario Trufelli


Non me ne voglia uno straordinario interprete della critica letteraria e profondo conoscitore e studioso del novecento meridionale e lucano, come Franco Vitelli, al quale per altro si deve la pubblicazione de “L’indulgenza del cielo” – Osanna Edizioni, Venosa – 2020, l’ultima raccolta di poesie, se volete, il ritorno alla poesia di Mario Trufelli. Non me ne voglia Franco Vitelli.

Proverò, in maniera nomade e sfacciata, a dare una chiave di lettura diversa dalla sua considerevole ed irrinunciabile postfazione. Conosco Mario da più di 30 anni. L’ho frequentato abbastanza per potermi definire un suo “giovane” amico. Non manco all'appuntamento per un Campari, che mai reggo fino in fondo, negli impossibili orari antimeridiani per un aperitivo che Mario mi propone nel “suo” Bar di viale Marconi a Potenza.



Esiste una sua storia giornalistica così alta, edificante, professionale che quasi inibisce il grande poeta. Su questo Vitelli ha ragione. Anche perché la storia dei media è andata via via intimidendo la poesia.

Esiste una storia dell’uomo Trufelli e delle sue amicizie che lo tiene stretto in una siepe della storia che è il secondo novecento. Esistono luoghi come Matera e la Lucania, intesa come un’eco, un richiamo quasi ancestrale, che costringono Trufelli in uno spazio culturale e letterario particolarmente suggestivo e nel contempo limitante.

Esiste la poesia delle poesie: “Lucania”. Ed esiste la poesia di Mario Trufelli lungo questi settant'anni. Due cose diverse che lui tiene insieme. Incredibile a dirsi, ancor di più a farsi. Ma lui ci è riuscito.

Esiste un modello poetico univoco in Mario Trufelli? No, assolutamente no. La sua poesia si ringiovanisce ad ogni stagione. Muta, si modella e ritma nei nuovi tempi, non solo quelli della vita. Si nutre di attimi.

Che bellezza!

Trufelli ha la curiosità di un fanciullo, vive le emozioni ad una ad una, trasformandole in energia. La sua vivacità persino ingenua, se pure mai banale, lo rende fresco, e gli restituisce l’odore del latte e del miele.

Io appartengo ad una razza intellettuale e culturale che ha sfidato l’archetipo di un racconto. Quello di una Basilicata in bianco e nero, costruita sui contadini curvi che sui muli segnavano il destino del ritorno a sera nelle case di pietra. Ho sempre cercato un segnale di cambiamento, l’idea di nuove forme di vita e di bellezza. Ho intuito la potenzialità della malvarosa, il volo del nibbio. Anche da poeta ne ho fatto catarsi. Del basilico sento l’odore e lo annuso sul corpo della mia innamorata. Ne percepisco la nota erotica.

"Da noi la Malvarosa è un fiore..."


Ascoltate la malinconia sensuale di queste poesie di Mario. Intimità:

E’ tornato un altro temporale

e la libellula canta

quando tutto è finito.

E tu ripensi al dondolio

di una culla fra gli alberi

che perdono le foglie.

 

Oppure, Primo amore:

 

Si scambiano sguardi

sotto le stelle.

Con il dono delle mani

cercano carezze.

Nell’ebbrezza della notte

sale una nuvola solitaria.

Si dissolve e assolve

i ragazzi innamorati

al primo bacio.

 

Un giovane Mario Trufelli intervista Leonardo Sinisgalli

Per carità non voglio allontanare Trufelli da Scotellaro, da Sinisgalli e dallo stesso Levi. Anche se proprio in questi tre personaggi esistono delle diversità sul filo dei cambiamenti che la storia produce, nei profili dell’antico e del moderno. Mario è stato amico di tanti artisti, pittori, giornalisti, scrittori che potremmo raccontare un caleidoscopio di emozioni, caratteri, stagioni della vita diverse fra di loro. Io cerco il Trufelli senza contaminazioni. Cerco il poeta che contamina, crea, plasma di suo. Cerco l’attore protagonista. Non mi basta il comprimario, l’intervistatore mite o irriverente. Voglio attribuirgli un mio particolarissimo Nobel per quello che lui è ed è stato. Per quello che ha scritto. Per “Lucania” e per “L’indulgenza del cielo”. Per questa poesia, che lui ha sognato per Pasolini e che gli dedico perché la mia intimità diventi la vostra:

 

Ciak, si gira! Nel silenzio dei Sassi

calvario da millenni

risuona l’urlo straziante del Nazareno.

 

Stop, perfetto! La crocifissione è compiuta.

Maria sua madre

scoppia in lacrime vere

nella scena del martirio.

 

La folla dei figuranti naufraga

in un intreccio di emozioni.

Risuona calda la voce che

invita l’attore crocifisso

a ripetere l’ultimo respiro

per la scena finale.

 

Figlio del dubbio

era andato per conventi a cercar pace

Assisi lo sedusse

Matteo, l’Evangelista

dal Getsemani al Golgota

gli rivelò il mistero della Resurrezione.

 

Pier Paolo Pasolini in una pausa delle riprese a Matera del "Vangelo secondo Matteo"


Credo che Pasolini sia passato da Cartesio che sosteneva quanto fosse necessario dubitare di tutto e utilizzare questo dubbio come metodo di ricerca della verità. Cogito ergo sum, penso quindi esisto. Mario Trufelli non ha mai abdicato all’idea di esistere e di pensare. Ha cancellato gli spazi della solitudine, anche dell’insonnia di molte notti, attraverso la poesia. Il primato della poesia. E’ questa la sua eredità. L’eredita del più grande poeta lucano vivente.

 

 

LA MIA DONNA SI CHIAMA LUCANA (a Mario Trufelli per i suoi novant’anni, 28 luglio 2019)

 

La mia malvarosa
è una donna fatale
di una asprezza predestinata
autunnale.

Un fiore
venuto dalla solitudine
di un’estate lunga
fin dentro l’ultimo settembre.

Come la terra che vivo
un algoritmo e una bugia
fra calanchi e mare
spighe di grano, ancora verde
e ciliegie mai nere.

La mia donna
si chiama Lucania
ha il dono del latte
nei seni generosi
sorprendenti.
Ha la pelle bianca
e i capelli neri.

La strada
che mi conduce ai suoi baci
corre rugosa
verso l’ennesimo cavalcavia
prima delle curve
della fatica
della salita.

In cima
trovo l’ultimo poeta
a fare da contorno
ad una sconfinata contraddizione:
alla montagna aspra
che guarda a ovest
e alla collina bionda
che dimora a est.
Al futuro
rivolto al nord
e all'estasi immobile
del suo
del mio
sud.

 

Il poeta
ha vissuto
e sognato
conosciuto
e interrogato due mondi
due secoli
due nodi in gola.

Ha in mano un fiore
forse, certamente
un bicchiere di vino.
Sono così lontano
ma talmente vicino agli occhi
da sfiorarlo con il cuore.

Il suo dono è la malvarosa.

Lucania mi accoglie
al tramonto
dell’ultima fetta di sole.
L’uscio socchiuso
come i suoi occhi lucidi.
La bacio
di un bacio tenero
lungo
commosso.

Il mio dono è una malvarosa
l’altro nome
dell’amore mio.

(Gianfranco Blasi)

 

 


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