“Come faccio io a non piangere”
Un viaggio sentimentale nell’ultimo libro di Irene Battaglini
e Vinicio Serino
Un’analisi complessa sull’Invidia, uno dei sette peccati
capitali. Un percorso psicoantropologico, un confronto a due voci anche su come
arte e scienza hanno interpretato questo sentimento
Duccio di Buoninsegna, Pilato si lava le mani, Maestà del Duomo di Siena, Museo dell'Opera del Duomo, 1308-1311 |
La storia dei
sette peccati capitali
Ricordiamoli velocemente i sette peccati: superbia, gola,
avarizia, ira, lussuria, accidia e invidia. Chiamati anche vizi, hanno
rappresentato per secoli i modi in cui l'uomo poteva cedere alle tentazioni del
Maligno, perdendo la propria anima e condannandosi alla dannazione perpetua. Nella
Divina Commedia Dante colloca
i colpevoli dei sette vizi capitali nell'alto Inferno (cerchi II-V) e
li purifica nelle sette cornici del Purgatorio; inoltre la lussuria, la
superbia e la cupidigia sono
raffigurati nel canto I dell'Inferno sotto forma di bestie
selvatiche, rispettivamente la lonza (vv.
31-43), il leone (vv.
44-48) e la lupa (vv.
49-60). Bestie che il sommo poeta incontra nella selva oscura all'inizio della
sua avventura.
Una descrizione
dei vizi capitali comparve già in Aristotele, che li definì, con
la cifra stilistica che lo caratterizza, gli "abiti del male". Al pari
delle virtù, i vizi
deriverebbero infatti dalla ripetizione di azioni, che formano nel soggetto che
le compie una sorta di "abito" che lo inclina in una certa direzione
o abitudine. Ma essendo vizi, e non virtù, tali abitudini non
promuovono la crescita interiore, nobile e spirituale, ma al contrario la
distruggono.
L'elenco dei vizi
fu quindi analizzato dal cristianesimo antico ad
opera dei primi monaci. La tristezza apparve
come vizio a sé nel medioevo, successivamente accorpata come già effetto
dell'accidia o dell'invidia. Stessa cosa accadde per la Vanagloria, accorpata
successivamente nell'unico vizio della Superbia. Gli altri peccati sono gli
stessi giunti a noi (ira, lussuria, avarizia, gola), mentre l'invidia venne
aggiunta successivamente.
Nell'Età dei lumi la differenza tra vizi e virtù perse importanza, poiché anche i vizi, come le virtù, concorrerebbero allo sviluppo materiale (industriale, commerciale ed economico) della società. Dopo il periodo illuminista, i vizi appaiono ancora in alcune opere di Kant, che vede nel vizio un'espressione della tipologia umana o di una parte del carattere. Dall'Antropologia pragmatica di Kant, nell'Ottocento , sui sette peccati capitali sono stati scritti grandi trattati, tanto da diventare un argomento molto interessante e vasto, fino ai giorni nostri, tra filosofia morale, psicologia umana, antropologia e teologia.
Invidia e
musica leggera, anzi leggerissima
Serino e Battaglini sono al terzo libro della serie. Hanno già
scritto una introduzione e analizzato la Lussuria. Il volume che invece qui
affrontiamo è quello relativo all’Invidia.
Partirò leggero, anzi leggerissimo, Colapesce e
Dimartino qui docent, e lo
farò da una canzone di Antonello Venditti dal titolo Amici Mai:
Questa sera non chiamarmi
no stasera devo uscire con lui
lo sai non è possibile
Io lo vorrei ma poi
mi viene voglia di piangere.
Certi amori non finiscono
fanno dei giri immensi
e poi ritornano
amori indivisibili
indissolubili, inseparabili
ma amici mai
per chi si cerca come noi
non è possibile …
La canzone è una finzione. Non si arrabbino i cultori di
Antonello. Il protagonista finge di essere un uomo libero,
emancipato, ma soffre come un cane per la fine di un amore. Per un amore che
transita da lui ad un altro. Prova invidia per lui. E’ geloso di lei. Gelosia e
invidia sono sentimenti speculari. Il primo è un modulo a tre. Il secondo un
modulo a due. La gelosia è un triangolo.
L’invidia va da un punto all’altro. Entrambe possono
essere definite come emozioni complesse di derivazione sociale. Vi sono ampie
aree di sovrapposizione tra i due sentimenti, poiché ciò che risulta
determinante per l’insorgere di queste emozioni è la percezione di un confronto
sfavorevole in un campo rilevante (per l’individuo) che finisce per avere esiti
negativi per l’autostima. Invidiare, essere gelosi.
Ci
sono alcuni aspetti fisiologici, altri patologici. Il libro di Battaglini e
Serino indaga, esplora, ricostruisce e accosta. Materie, scienza e arti si
incrociano e sovrappongono, costruiscono il caleidoscopio di emozioni e
risposte di cui necessitiamo, lasciando sempre aperte le porte delle soluzioni.
Non ci sono dogmi, pareri definitivi, anche se la ricerca di gentilezza,
reciprocità, generosità, buona speranza è insita nel ragionamento degli
autori.
E
questo mi piace molto.
Renè Magritte, Les Amants, 1928, MoMa, New York |
Invidia e arte
Nella parte bassa delle
due pareti laterali della Cappella degli Scrovegni a Padova, Giotto ha disegnato le
allegorie dei sette vizi capitali (Stultitia, Inconstantia, Ira, Iniusticia,
Infidelitas, Invidia, Desperatio) contrapposte alle relative virtù (Prudencia,
Fortitudo, Temperantia, Iusticia, Fides, Karitas, Spes). Di queste
immagini parla anche Proust nel primo volume de "Alla ricerca del tempo perduto". Ma
molti altri pittori e musicisti, poeti e scrittori si sono esercitati
sull’invidia. Il libro non rinuncia a cogliere queste contaminazioni. Non a
caso l’illustrazione di copertina è
proprio il particolare di Giotto dedicato a questo peccato o vizio o sentimento
negativo. Tutto il volume ripercorre, in particolare, la relazione fra pittura,
gelosia e invidia. Da Renè Magritte a Pablo Picasso. Da Gustave Dorè al Beato
Angelico. Da Agnolo Bronzino a Kees Van Dongen.
Ascoltiamoli, per un
attimo, i due autori attraverso il loro Editore:
“ Scrivere dell’invidia corre il rischio di restare un mega-peccato capitale
del tutto inadempiente: un peccato che si rispetti necessita di un certo
pathos, di un buon grado di sofferenza, di una tensione che preluda il godimento. E
perché l’invidia, e la gelosia (sua fragile ancella del cuore, con poche
speranze di raggiungere la virtù negletta dell’invidia, padrona della mente,
primogenita e viscerale) dovrebbero offrire una qualche proibita soddisfazione,
al punto di essere annoverate fra i canonici vizi?” Abbracciamo intanto con lo
sguardo la gelosia nell’arte. Il rischio di scivolare nell’analisi critica di
un’opera o di sottoporla ad una sorta di indagine psicoanalitica è abbastanza
prevedibile: si tratta di due posizioni estreme, gelose, appunto, l’una
dell’altra, in conflitto, eppure innamorate, si negano, si abbracciano, fanno
all’amore, per poi distinguersi appena, si fa troppo stretto il “letto” della
critica, o troppo devastante il dubbio inoculato dalla psicanalisi”.
Naturalmente, il
rischio di girare in tondo alla psiche c’è. Come pure quello di trasformare
pensieri elementari e pulsioni semplici in complesse critiche antropologiche.
Anche di tirare dentro ogni quadro, ogni composizione musicale, ogni rigo
poetico, molta letteratura scientifica in una specie di continuo frullatore
dell’essere in cui il confronto fra mente e società si trasforma persino in
occasione politica di destrutturazione di modelli educativi, storie e storia di
culture e pensieri. Con questa maledetta paura di affrontare il potere che ci
deriva dai guai del ‘900. Quasi che il potere sia per definizione malato,
ingiusto, vecchio. Di volta in volta un nemico.
Serino e Battaglini
accettano questa sfida. Si confrontano con vizi e peccati. Non innalzano nuovi
tabù. In alcuni momenti mi sono apparsi come due cronisti che indagano alla
ricerca della verità. Senza compromessi e rinunciando ad una presuntuosa
neutralità. La loro competenza non è invasiva ma leggera.
Mario Fani, La contemplazione, Olio su tela, 2008 |
I due autori e il mio eccesso di confidenza
Irene Battaglini
scrive come dipinge. Questo concetto secondo molti osservatori
sarebbe sbagliato. Si sostiene che
pittura e scrittura sono due forme d’arte differenti. Certo, nella prima c’è un
messaggio puramente visuale, nella seconda prevalentemente testuale. Per me, che
riconosco Ezra Pound come maestro, vale la rottura con la tradizione
poetica tardo romantica. Irene, entro in piena
confidenza, scrive da imagista, sostiene
un linguaggio pulito, gentile, poetico, conciso e chiaro, basato proprio sulla
precisione e l'immediatezza con cui si presentano le immagini. Anzi lei
sovrappone immagini e scrittura. Ed è una bellezza leggerla. Così come è
una bellezza soffermarsi davanti ad un suo quadro. Pura alchimia . Irene scrive
come dipinge e dipinge sulla scrittura degli altri. Trasforma forme e colori in
un evento emotivo ed empatico. La sua vena artistica merita di essere seguita.
Calpestata dalle orme della riconoscenza.
Vinicio
Serino, in conclusione della sua riflessione sull’Invidia, introduce il premio
Nobel, Wolfang Pauli, un grande fisico, uno dei padri della meccanica
quantistica. Uno che era considerato un menagramo. Molti si nascondevano al suo
passaggio. Erano certi che portasse
male. Lui ci rideva anche sopra. Magari il ricamo ironico era dedicato a quanti
lo deridevano ma, sotto sotto, lo invidiavano. Ma non è di questo che voglio
scrivere. Bensì della sua teoria secondo la quale due elettroni in un atomo non
possono avere tutti i numeri quantici uguali. Nulla è uguale, persino a se
stesso. Tutto si muove e si modifica. Nel tempo, nello spazio, nella materia. Pauli,
pensate, catalogava i fenomeni sensoriali, quelli percettivi, per intenderci,
alle sue teorie di fisica quantistica. Il conflitto fra le sue parti razionali
e irrazionali e la sincronicità della relazione spazio temporale furono oggetto
di studio e confronto con Jung. Fisica quantistica e psicologia. Azione e
reazione. Amore e gelosia. Successo e invidia. Realtà e percezione di quanto
potrà accadere. Virtù e vizi. Pregi e peccati. Il tema è quello del
coordinamento acausale. Mi spiego, State pensando ad una donna (o uomo)
intensamente. Dopo qualche minuto ricevete una telefonata o quella persona si
materializza al vostro fianco. Jung fa anche riferimento alla telepatia. Pauli
entra in conflitto con la fisica tradizionale. Due elettroni in un atomo non
possono avere tutti i numeri quantici uguali.
Pablo Picasso, Madre e figlio, 1905 |
Odiarsi mai
Sentire,
percepire, pensare, sognare, accarezzare, amare, perdersi e mai ritrovarsi.
Oppure ritrovarsi dopo essersi persi. Vicini e irraggiungibili. Ma amici mai,
per chi si cerca come noi:
Odiarsi mai
per chi si ama come noi
basta sorridere.
No, no non piangere
ma come faccio io a non piangere
tu per me sei sempre l'unica
straordinaria normalissima
vicina e irraggiungibile
inafferrabile incomprensibile.
Ma amici mai
per chi si cerca come noi
non è possibile
odiarsi mai
per chi si ama come …
Epicuro, Il fine ultimo della filosofia è raggiungere la felicità |
Fasi
transitorie e desiderio d’infinito.
C’è stato un momento dopo la caduta del monarca macedone
Alessandro Magno nel quale l’epoca classica greca ha subito una transizione. Lo
ricordo pensando alla gelosia, questa volta a quella chiamata “invidia sociale”.
E dunque rimbalzerò ai nostri giorni e ai modelli di relazione e di comunicazione
interpersonale e sociale che ci caratterizzano.
Convenzionalmente si fa riferimento al 320 a.c. .
Iniziò, allora, un periodo di sfaldatura dell’organizzazione
sociale delle antiche città-stato elleniche. Vennero meno molti valori etici
secolari. Sembrò che gli antichi vincoli ispirati alla collettività fossero
persi per sempre. Nacquero relazioni civili meno forti.
Non voglio dire che oggi, nella nostra società occidentale,
viviamo la stessa transizione. Ma certo, molti valori collettivi e religiosi,
ideologici e di fede, valori secolari, sembrano evaporati.
I greci trovarono alcune risposte in una visione vitalista dell’esistenza. Un filosofo, Epicuro, seppe incanalare il malessere e i mutamenti culturali e intellettuali dell’universo ellenico. Smascherò i timori che assalivano la gente, come la paura degli dei o del destino o il desiderio di ricchezze e oneri terreni. Fece sentire tutti più sereni nella ricerca di un’esistenza felice, liberi di poter godere dei piccoli piaceri della vita. La felicità del saper vivere. Mi viene in mente Hermann Usener, che ho citato nel mio libro dedicato a san Paolo “La tua vera eredità” (Universosud Editore, Potenza – 2018). Usener è stato un filologo classico e una delle grandi figure europee della storia delle religioni del diciannovesimo secolo. Propose l'idea, in qualche modo epicurea, di Dio attraverso le tappe del "dio momentaneo", legato all'esperienza del fenomeno singolo e del "dio di categoria".
L’uomo
di ieri come quello di oggi. Tutti alla ricerca della verità, della libertà, di
una qualche forma di emancipazione. Dentro una lotta perpetua con i nostri
vizi. L’invidia e la gelosia sociale, sono l’ultima tentazione maligna della
nostra società e del suo modello competitivo, asentimentale. Ma nel ventaglio
delle risposte ci sono soluzioni corte e soluzioni ampie. Orizzonti vicini ed
orizzonti lunghi. Ha ragione Irene Battaglini: “Di fatto tutte le cose sono transitorie, nel mondo, ma l’uomo che ama
ha bisogno disperatamente di proiettare il suo desiderio d’infinito,
promettendo amore per l’eternità. La negazione della passionalità del cuore
porta inevitabilmente all’invidia verso coloro che sanno sviluppare dipendenza,
nostalgia, mitopoiesi (la capacità di inventare favole, sviluppare miti). Gli
innamorati che negano di amarsi resteranno immobili, come statue di sale,
negandosi quella dolce libertà di affermare la dipendenza dall’Altro, di
esprimere il bisogno di vicinanza. Negando quindi, per estensione, il bisogno
di Dio, di eterno, di ritornare al grembo dell’universo-mare che ci ha
generato.”
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