Le tre caratteristiche letterarie del nuovo libro di Patrizia Bianco. Un romanzo di genere, poi storico, soprattutto psicologico
“Radici
Lucane” è un lavoro
attento, intenso, struggente, un omaggio alle atmosfere leviane e pasoliniane
della Matera del ‘900
Patrizia
Bianco ha una personalità poliedrica. Apparentemente timida, ma una volta
scartato l’involucro della conoscenza la scopri aperta al mondo. Se poi vai
oltre e ne diventi amico, Patrizia si apre ad una solarità fatta di abbracci e affettività.
Ama scrivere, sa raccontare. Lo
ha fatto benissimo in "Controcanto verso
il vento" (edizioni Kimerik - collana Kimera , 2018), il suo libro precedente, testimoniando
la storia della propria famiglia, la ricostruzione emotiva e fisica delle sue
relazioni più intime, anche quelle più dolorose. Non solo la progressione di un
amore materno di struggente bellezza.
Confesso
che recensire un libro non è un dovere. Molti si annoiano, lo fanno per non
essere scortesi. Qualcuno vi rinuncia a priori. Personalmente, considero un
onore recensire un libro di poesie, piuttosto che un romanzo. Tenendo fede a
due principi. Dire la verità. E, se c’è, riconoscere il talento. Noi che
scriviamo ci abbeveriamo a fonti di vanità e superbia molto ampie. Qualche
volta così sconfinate da specchiarci troppo, come Narciso. Esserne consapevole
mi aiuta ad essere libero, anche da me stesso.
“Radici Lucane”, che contiene un prezioso cammèo di Giuseppe Lupo, è
tre cose contemporaneamente. E’ un
romanzo di formazione. In particolare, lo è, attraverso uno dei personaggi,
Teodora, che viaggia per conoscere, scavare la storia, viaggia per crescere.
Come nel primo libro di Patrizia Bianco,
dove a viaggiare era l’autrice. Il viaggio è un bisogno, una catarsi, una
conversione alla verità. Un battesimo. Il desiderio testardo di riallineare le
stelle per riprendere il cammino.
“Radici Lucane” è anche un percorso
nel tempo. E’ un romanzo storico.
Apre un palcoscenico al lettore di formidabile conoscenza. Il secolo scorso. A
cavallo delle due guerre, dentro il secondo conflitto e poi il dopo. La fine
del mondo arcaico, magico, intriso di atmosfere bucoliche, di un Mezzogiorno,
quello interno, che Giustino Fortunato definì “l’Osso del Sud”, che non riesce
a cambiare pelle con la velocità che la modernità richiede. Una Matera leviana, dove povertà e pregiudizio inquinano
le relazioni sociali, ma anche un mondo contadino che sembra essere in
ghiaccio. Forse è questa la ragione per la quale i Sassi ci hanno raggiunti nel
post moderno in tutta la loro fragranza antica ed intatta. La loro
conservazione, persino inconsapevole. La ragione per la quale Pierpaolo
Pasolini li fece teatro memorabile del suo “Vangelo
secondo Matteo”. Un Sud mediterraneo ancestrale, dove la pietra e il legno
divennero casa e croce. In Mel Gibson sangue e croce.
Pierpaolo Pasolini in una pausa del suo "Vangelo Secondo Matteo"
La
storia della Bianco ripercorre il viaggio della giovane Teodora in Lucania e le
vicende di una famiglia patriarcale nell’arco di tre generazioni a partire,
come già sottolineato, dagli anni ’30. È un ritorno “necessario” per svelare il
mistero che avvolge l’infanzia dell’anziana madre nel tentativo di contrapporlo
all’oblio verso cui la malattia la sta trascinando. Alla distanza nello spazio
si sovrappone un salto temporale e il viaggio si fa “esperienza”. Eccolo, il romanzo di formazione.
E’
così che il lettore ripercorre attraverso i ricordi la quotidianità degli anni
della guerra e la difficile ripartenza. Alle soglie degli anni ’60 la famiglia
si affaccia impreparata, la civiltà contadina ha le ore contate. La calamita
del boom industriale porta a compimento l’epocale esodo di massa e più niente
sarà com’era. Eccolo, il romanzo storico.
Zio
Compare vive ancora negli antichi rioni e l’accoglie guidandola nelle vicende della
famiglia. Sull’onda dei ricordi il flash back riporta l’azione all’epoca in
cui, suo padre, Cosimino, si trova di fronte la piccola Fortunata nascosta nel
suo ovile, una perfetta sconosciuta, capelli bruciacchiati e pelle nera di
fuliggine come se fosse appena fuggita dall’inferno. E’ questo l’evento che costituisce
lo spartiacque dell’esistenza della protagonista, da quel momento il passato
lascia il passo a un doloroso vuoto che la segnerà per sempre.
Cosimino
conduce la bambina a casa fiducioso che in tempi brevi la sua famiglia si farà
viva ma i mesi passano e nemmeno ai Carabinieri arriva alcuna segnalazione di
scomparsa. Il mistero resta fitto.
L’ingresso
in famiglia non è indolore, Dorina, moglie di Cosimino, alza una cortina di diffidenza
temendo di suscitare la gelosia della figlia disabile e i due gemelli, in continuo
contrasto fra loro, vedono in lei un ulteriore elemento di attrito.
Con
il trascorrere del tempo, tuttavia, la presenza della ragazza viene accettata,
anzi, proprio lei riesce a costruire attorno a sé un solido rapporto affettivo.
Con
il passare degli anni ognuno prenderà la sua strada e Fortunata sceglie di
seguire Cesare in fuga dal confino verso il nord dove costruiranno una vita
nuova.
L’azione
torna in tempi recenti e quando Teodora giunge a Genova ha con sé le
risposte
che cercava, ora sa della tragedia vissuta dalla madre e che l’ha spinta
inconsciamente
a rimuoverle. Decide di affidarsi alla forza salvifica della verità,
unica
in grado mandare all’aria i nefasti progetti della malattia …
Dicevo
che “Radici lucane” è tre cose contemporaneamente. Infatti. Il
libro di Patrizia Bianco è anche un romanzo psicologico. Forse, questo,
almeno per me, è l’aspetto più prorompente nella composizione di questa corposa opera.
Lo sappiamo, il romanzo psicologico è un tipo di romanzo nato tra l'Otto e il Novecento, nel
clima di crisi e di tensione che caratterizzò la letteratura di quegli anni: da
una parte, una chiusura nella propria interiorità, dall'altra una forte
esigenza di realismo. Davanti ai drammi della guerra, si intende la letteratura
come mezzo di autoanalisi e riflessione profonda su di sé. In questo tipo di
narrazione la fabula è debole, quasi inesistente e
focalizza tutta l'attenzione sui meccanismi mentali dei personaggi. Parlo della fabula per il senso che ne viene dato nella critica letteraria,
cioè l'insieme degli elementi che
costituiscono il contenuto narrativo di un libro.
Patrizia Bianco non rinuncia alla fabula, ma è innegabile che Ella focalizzi
molta più attenzione sui meccanismi mentali dei personaggi. E’ una cosa che mi
ha intrigato nella lettura. Scoprirli, attenderli nelle loro mosse, verificarne
i punti di forza e le fragilità.
Renè Magritte... L'essere e apparire |
A dominare in questo genere, dove mi
piace collocare “Radici Lucane”, vi è
il mondo interiore dei personaggi, i loro processi psichici, le emozioni che derivano dal profondo, gli
stati d'animo e le riflessioni consce o inconsce. Un po’ come ne La coscienza di Zeno di Italo Svevo o in Uno, nessuno e centomila di Luigi Pirandello. Infatti, si coglie nel romanzo
psicologico il vento delle scoperte
della psicoanalisi di Freud. Anche Patrizia Bianco ha creato
personaggi i quali, più che vivere esperienze nel mondo esterno, compiono un
“viaggio” nel proprio mondo interiore. Essi però non trovano facilmente una via
d'uscita e spesso le loro riflessioni diventano pensieri fissi, manie, che
rendono la loro vita angosciosa e piena di paure.
La catarsi sarà nella verità, nella
storia che reimpagina se stessa, che svela segreti, se volete anche nella
ricostruzione che i personaggi fanno delle vicende che hanno vissuto. Da
scrittore direi che persino le bugie hanno diritto di mescolarsi alla verità se
aiutano a produrre una riconciliazione, prima di tutto con se stessi e poi con
il mondo.
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