La replica di Xi Jinping al discorso di insediamento di Joe Biden. Il capo dei comunisti cinesi è intervenuto al Forum internazionale di Davos
![]() |
Xi Jinping, capo del partito comunista e presidente della repubblica popolare cinese |
Il piano
dello scontro strategico sembra totale ed inevitabile. E nei prossimi anni
questo scacchiere, le scelte e le alleanze conseguenti saranno decisive per il
futuro del mondo.
Qualche giorno fa ho provato qui, su “Pensieri Meridiani”, a commentare il
discorso di insediamento di Joe Biden a presidente degli Stati Uniti d’America.
Fra le righe mi era parso che Biden tentasse di riprodurre il modello di
Clinton e Obama. Di impostare nuovamente politiche coerenti con il ruolo americano
di più grande potenza mondiale. Sappiamo che l’America si sente custode di
alcuni valori fondamentali del mondo occidentale Una sorta di presupposto
filosofico di un interesse che poi è ovviamente anche economico e militare. Certo,
dobbiamo aspettare Biden. Verificarlo ai prossimi appuntamenti. L’egemonia si
manifesta in diversi modi, con una prassi di governo che può modificare i
comportamenti precedenti o confermarli.
![]() |
Lloyd Austyn, uomo di Obama, è il nuovo capo del Pentagono nell'amministrazione Biden |
Agli Stati Uniti è mancato, sul piano storico, uno spirito pacifista. La guerra è quasi sempre stata una necessità, una giustificazione per affermare il proprio ruolo e, in alcuni casi, il proprio dominio. La libertà, spesso evocata, la democrazia sono state usate come vere e proprie licenze dialettiche, formule politiche per intervenire, alcune volte giustamente, altre più discutibilmente, anche con la forza. La relazione con l’industria bellica e i suoi interessi è inalienabile.
Vedremo se Biden modificherà questo solco storico o se vi si inserirà con
risolutezza.
Ciò non di meno è parso a molti osservatori, anche nei discorsi elettorali
del nuovo presidente americano, che la sua amministrazione avrebbe avuto nel
mirino la Cina, la sua politica espansionistica, il suo arsenale militare, la
sua capacità di sviluppo e crescita economica. Il piano dello scontro strategico
sembra totale ed inevitabile. E nei prossimi anni questo scacchiere e le
alleanze conseguenti saranno decisivi per il futuro del mondo.
Qualche giorno dopo l’intervento di Biden c’è stata proprio la replica del
presidente cinese Xi Jinping al Forum Internazionale di Dovos. Discorso che ha suscitato
un’attenzione e un dibattito che – da soli – sono il segno di quanto il
baricentro del Mondo si sia spostato anche verso oriente, alimentando le
preoccupazioni di Biden. Non molti anni fa, infatti, sarebbe stato impensabile
che un discorso di un leader non occidentale e non americano soprattutto,
ottenesse tanto seguito, tra gli analisti e i media internazionali.
Anche l’Italia non si è sottratta alla discussione che le parole di Xi
hanno provocato, specie nell’ambito accademico, tra i sinologi e gli esperti di
fatti e storia cinesi a livello universitario. Ma non solo.
HuffPost, il Foglio, il Corriere della Sera ed altri Media hanno raccolto
le reazioni di alcuni di loro.
Segnalo quelle che mi appaiono più interessanti, proprio da mettere in
relazione al discorso di Biden, quasi in contrapposizione, perché di questo si
tratta.
I cinesi, ed è questa la prima riflessione che possiamo fare, temono di più
i democratici rispetto a Trump, il quale, forse, era considerato un presidente
di transizione, troppo ed innaturalmente, per la storia americana, teso alla
politica e agli interessi interni del suo popolo.
1.
“Quello di Xi è stato un discorso che non
definirei “aggressivo”, ma piuttosto “assertivo”, estremamente assertivo”
scrive Maurizio Scarpari, decano dei sinologi italiani, già professore di
cinese classico e direttore del Dipartimento di Studi sull’Asia Orientale
all’Università Ca’ Foscari di Venezia, autore di molti testi fondamentali per
chiunque voglia studiare la Cina, primo fra tutti “Ritorno a Confucio, la Cina
di oggi tra tradizione e Mercato” (Il Mulino). Noto per le sue posizioni spesso
critiche nei confronti della nuova Cina contemporanea, alcuni suoi articoli
pubblicati di recente sull’inserto del Corriere della Sera “La Lettura”, dove
interveniva sull’eccessiva penetrazione e la conseguente eccessiva dipendenza
del mondo accademico -anche italiano – dagli “Istituti Confucio” cinesi, ha
generato un grande dibattito tra gli studiosi; un dibattito che ha raggiunto
anche toni piuttosto accesi, considerando che i protagonisti erano tutti
compassati studiosi e professori universitari. “Se facciamo un paragone con
quello che Xi tenne sempre a Davos quattro anni fa”, continua Scarpari, “salta
all’occhio che quello di ieri è stato il discorso di un leader mondiale, il
discorso del capo supremo non soltanto della nazione più popolosa della Terra e
di quella che si avvia a diventare la prima potenza economica del Pianeta, ma
di qualcuno che ormai non ha più nessun timore – e si sente anzi chiamato – a
proporsi come guida globale di un mondo globalizzato. Una globalizzazione, ha
affermato Xi, alla quale non si può, non si deve e comunque non avrebbe senso
opporsi”.
2.
Sulla caratura globale del discorso di Xi
concorda anche Fabio Massimo Parenti, professore alla CFAU - China Foreign
Affairs University - di Pechino, le cui dichiarazioni pubbliche sono sempre
state improntate invece al massimo sostegno verso il regime cinese.
Collaboratore assiduo del Blog di Beppe Grillo, dove interviene spesso sui temi
cinesi, qualche tempo fa un suo articolo dove affermava tra l’altro che nello
Xinjiang ci sarebbe “una buona convivenza tra Han e Uiguri e non si percepisce
alcun tipo di discriminazione, come invece si legge continuamente sulla stampa
occidentale” creò non poco scalpore e un acceso dibattito tra i conoscitori di
cose cinesi. “Il discorso di Davos è di alta levatura morale e profonda
consapevolezza delle sfide che la comunità umana si trova ad affrontare in
quest’epoca di crisi e cambiamenti radicali” dice Parenti all’HuffPost, che
legge “un forte invito ad abbandonare i pregiudizi ideologici e seguire insieme
una strada di coesistenza pacifica”, osserva, sottolineando come il passaggio
che lo ha più colpito sia stato quello in cui Xi richiama il Mondo a seguire
insieme una strada di coesistenza pacifica: “Nessuno è superiore ad un altro,
dice Xi. E per chiarire questo passaggio” continua Fabio Massimo Parenti, “il
presidente ha enfatizzato il valore delle differenze, affermando che non c’è
civiltà umana senza diversità … La differenza in sé non causa allarme. Ciò che
fa suonare l’allarme è l’arroganza, il pregiudizio e l’odio; è il tentativo di
imporre la gerarchia sulla civiltà umana o di forzare la storia, la cultura e
il sistema sociale di uno sugli altri”.
3.
Ma è proprio sul tema del richiamo di Xi
Jinping al rispetto delle convinzioni e delle tradizioni ideologiche, politiche
e storiche dei popoli che invece, secondo Scarpari, emerge una delle diverse
contraddizioni del discorso “che comunque resta un intervento di notevole
caratura e ampia visione politica e sociale”, ci tiene a precisare. “La
contraddizione principale, secondo me”, continua Scarpari, “risiede nel fatto
che Xi sembra esporre una serie di bellissimi principi, che non si possono non
condividere, sul rispetto reciproco che deve esserci tra i popoli, sul fatto
che il più forte non deve “bullizzare” il più debole etc., ma sembra riferirsi
a come – secondo lui, evidentemente – l’occidente, e specialmente gli Usa,
vedono e trattano la Cina, dimenticandosi – a quanto pare – che poi al suo
interno è proprio la Cina a non rispettare le diversità e i diritti delle
minoranze – basti pensare a come vengono trattati gli Uiguri, oppure alla
repressione di qualsiasi “diversità democratica“ invocata dalla gente di Hong
Kong oppure a Taiwan. Insomma”, conclude Scarpari, “un discorso sicuramente
“alto”, pieno zeppo di enunciazioni sagge e paternalistiche, ma che tende ad
entrare in collisione e in evidente contraddizione con le caratteristiche
interne del regime cinese. Un discorso sicuramente rivolto al Mondo fuori dalla
Cina, piuttosto che dentro la Cina!”.
4.
Federico Fubini, in un commento pubblicato
ieri sul Corriere della Sera, ha visto nel discorso di Xi una forte matrice
aggressiva e una chiara minaccia rivolta alla nuova amministrazione Usa: “Per
l’America di Biden” scrive Fubini, “mai evocata per nome, Xi ha riservato una
delle parole pronunciate più spesso nell’intero discorso: Arroganza”. Parenti
però è di parere completamente opposto, e insiste sul fatto che quello del
leader cinese è “nel complesso un invito forte ed ambizioso, ampiamente
condivisibile perché realistico, ad una cooperazione vantaggiosa per tutti e ad
uno sviluppo condiviso. Se non ora, quando?” si chiede il professore della
China University. Che aggiunge: “Certo, ahinoi, l’altro grande polo della
comunità internazionale, gli Usa, non sembra ancora sufficientemente persuaso
ad abbandonare la vecchia mentalità da “guerra fredda” e (velleitarie) pulsioni
egemoniche, almeno dai primi segnali che ci giungono dalla “nuova”, ma molto
clinton-obamiana, amministrazione Biden” insiste. “Su quest’ultimo punto,
spero, profondamente, di sbagliarmi”, afferma.
![]() |
La così detta "via della Seta" |
5. Anche il professor Scarpari sostiene che
“la Cina guidata oggi da Xi Jinping è diventata oggettivamente così forte e –
paradossalmente, ma nemmeno troppo, proprio a causa della pandemia – gode di una
tale posizione di vantaggio rispetto al resto del Mondo (si pensi al fatto che
quella di Pechino è l’unica economia che si è già ripresa ed anzi è in forte
sviluppo, mentre il resto del Mondo sprofonda nel baratro ogni giorno di più)
che non ha nemmeno bisogno di minacciare l’eterno rivale, gli Usa” osserva
Scarpari. “Gli basta affermare – ed è per questo ho definito il discorso
estremamente assertivo – la sua oggettiva e difficilmente discutibile
leadership attuale” conclude il professore di Ca’ Foscari.
6.
Un dibattito acceso e, come ormai accade
puntualmente ogni volta che si parla di Cina, spesso schierato su posizioni
contrapposte, non solo politicamente. Un dibattito nel quale - su
sollecitazione dell’HuffPost – è intervenuto anche un famoso dissidente cinese,
il giornalista, conduttore radiofonico noto internazionalmente con il suo “nome
d’arte”, Dalù, che da qualche tempo ormai ha trovato rifugio in Italia, dove ha
chiesto e ottenuto asilo politico, dopo essersi convertito, fra l’altro, alla
religione cattolica. Celebre speaker della Radio di Shanghai, Dalù commemorò in
diretta, il 4 giugno 1995, dai microfoni dell’emittente, la ricorrenza
dell’anniversario del massacro di Piazza Tienanmen, avvenuto sei anni prima. Un
gesto che fece scalpore e oltrepassò i confini cinesi, quando la stampa
internazionale rilanciò la vicenda. Ma che gli costò molto caro: il programma
radiofonico venne immediatamente sospeso e cancellato dal palinsesto mentre lui
veniva licenziato in tronco dopo essere stato costretto a scusarsi. Gli dissero
che avrebbe dovuto ringraziare il Partito per avergli risparmiato la vita. E
quello stesso Partito Comunista cominciò a perseguitarlo, costringendolo a
scappare. Oggi non ha dubbi su quale sia la corretta interpretazione da dare al
discorso di Xi a Davos: “Il Partito Comunista Cinese offre al mondo una mela
avvelenata” ha dichiarato a HuffPost, senza mezzi termini. “Nessuna credibile
forma di cooperazione può essere promossa da chi ha rinchiuso il proprio popolo
in un sistema di vigilanza ad alta tecnologia. La situazione dei diritti umani
in Cina è terribile ed il mondo, visti i precedenti, dovrebbe imparare a
giudicare dai fatti concreti, non dalle dichiarazioni del regime”.
Commenti
Posta un commento