Il rinascimento potentino. Dall’eredità di Emilio Colombo ai giorni del governo Draghi e del commissario Figliuolo

 

Il potentino generale, Francesco Paolo Figliolo, nuovo commissario per l'emergenza Covid in Italia


C’è, come sempre fra Potenza e Matera, un fiume sotterraneo fatto di gelosie ed invidia reciproca che non può banalmente essere riempito con la scusa del tifo calcistico. Visto, per altro, che almeno da una decina d’anni non ha neppure ragion d’essere, mancando la materia prima di una squadra professionistica nella Città dei Sassi. No, c’è di più. E questo di più ha ragioni geografiche, storiche, antropologiche e sociologiche assai marcate. Ma non intendo attardarmi su una querelle complessa, forse irrisolvibile e, tutto sommato, persino fisiologica. La diversità, il conflitto e le specificità sono lì ad attendere un dibattito maturo e consapevole. Io questa diversità la userò solo a pretesto di un ragionamento che, invece, mi interessa sviluppare qui ed ora e che sta attraversando il dibattito nazionale e i media, proprio in questi momenti, dopo la nomina del potentino, generale, Francesco Paolo Figliuolo a nuovo commissario per l’emergenza Covid in Italia. Che sposa la nomina del potentino, Beppe Moles a sottosegretario all’editoria e al giornalismo, e che incrocia la riconferma dei potentini Lamorgese e Speranza a ministri degli interni e della salute.

La giornalista Simonetta Scandivasci, lucana di sponda collina materana, scrive sul Foglio di oggi, 2 marzo 2021,  un pezzo di costume, se volete, di società, dove arriva a sublimare questa “contiguità casuale e tuttavia affascinante” della nomina contemporanea nel governo più importante d’Italia dal dopo guerra ad oggi, dei “quattro moschettieri” potentini. Appare a lei di particolare impatto che a gestire l’emergenza nazionale sanitaria, siano personalità “ non di Roma e Milano, ma di Potenza”. Ed arriva a scrivere che “s’è composto un triunvirato potentino che forse (forse) archivierà l’eredità di Emilio Colombo”. La Scandivasci esorta Speranza a liberarsi del pittellismo e del doroteismo che, a suo giudizio, è tipico della politica lucana e a lasciarsi trasportare dall’onda identitaria della sua città d’origine verso il mito del successo garantito che il governo Draghi sembra possedere nel suoi dna. Ora, non me ne voglia il mio caro amico Gianni Pittella, che da Speranza si sente sufficientemente lontano e che tutto è meno che un marxista, essendo egli un sincero democratico riformista di radice socialista. Credo la giornalista intenda per doroteismo e pittellismo gruppi coesi di potere. Ma poco importa …

A seguire i social lucani in queste ore c’è da sbizzarrirsi in un caleidoscopio di stati d’animo. Destra e sinistra accumunati da un sano patriottismo comunale, un po’ provinciale (nel senso territoriale e non sentimentale), ma nient’affatto regionale. Matera, come Sparta, non è felice del successo di Atene. Potenza, l’Agorà della politica regionale e del potere, con il suo corollario di dolci colline e aspra montagna, ove si disegna l’Areopago della nobiltà lucana, della borghesia illuminata. La città di Emilio Colombo, lo statista che ha superato le gesta di Francesco Saverio Nitti. Ma Potenza è anche Melfi e Lauria, dunque il connubio perfetto fra cultura democristiana e sapienza socialista. La provincia del potere, che guarda verso ovest e che non ha alcuna traccia levantina.


Una panoramica di Potenza lungo la dorsale del fiume Basento


La Scandivasci definisce i potentini “montanari”, quasi a segnare un’identità propria che non è né pugliese, né campana. Io credo abbia ragione. Sinceramente non mi lascio intimidire da quella che potrebbe sembrare un’ offesa. Non a caso, Potenza l’abbiamo immaginata in questi mesi come capitale dell’Appennino, come finestra alta che guarda al Mediterraneo. Un luogo unico, originale. Che deve cogliere in queste nomine non un segno esoterico ma l’occasione di un ritrovato, casuale orgoglio per tornare a mostrarsi libera da fantasmi e false catene. Potenza può riprendere il suo cammino e cercare di incrociare Matera sulla strada della modernità. Matera merita quello che si è conquistato e, senza piangersi addosso, incrociare Potenza lungo la via di una ricca e diversificata unità regionale. Strada obbligata per entrambe, costrette a stare insieme da antichi confini per evitare l’irrilevanza geopolitica ed economica.

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