La spigolatrice di Sapri, la statua, le polemiche. Vi dico come la penso e cosa amo di più

La Statua della Spigolatrice, nella foto anche l'autore, Emanuele Stifano


 «Eran trecento, eran giovani e forti,/e sono morti!/Me ne andavo al mattino a spigolare/quando ho visto una barca in mezzo al mare…»

Canta l’attaccamento alla sua terra, forse una visone non solo romantica e persino politica, la giovane spigolatrice, con parole destinate ad imprimersi nella memoria collettiva e in quella di tante generazioni di insegnanti e loro allievi, compreso me, che iscrivo di diritto i miei sentimenti ai ricordi mai sbiaditi della poesia scolastica e alle maestre e prof che mi hanno formato negli anni.

 La spigolatrice è il personaggio dei versi di Luigi Mercantini, la sua adesione poetica all’insurrezione antiborbonica che Carlo Pisacane tentò a Sapri, in provincia di Salerno, nel 1857. Un componimento dagli accenti appassionati e semplici, che affida all’allegorica figura femminile il punto di vista sulla fallita rivolta guidata da un nucleo mazziniano, finita col massacro della spedizione a Padula. A essere sacrificati i detenuti politici dalla prigione di Ponza, liberati e mandati in battaglia, aggrediti come delinquenti dai contadini stessi, sobillati dalle autorità. Dimenticandosi di raccogliere i chicchi delle spighe cadute durante la mietitura, attività quotidiana che scandiva un’esistenza di ristrettezze, la fanciulla segue i combattenti per assistere infine alla sanguinosa disfatta. Tutti uomini a combattere, una sola donna ad osservare, tifare, disperarsi.

Oggi, a rievocare la sanguinosa pagina di storia risorgimentale, impressa nell’affresco del poeta, è ancora “la spigolatrice di Sapri”, incarnata nello scintillio bronzeo di un monumentale tributo: dalla poesia alla scultura, essendo ancora una volta icona. Arte pubblica, nel senso più tradizionale del termine. Figurativa e celebrativa, fra epica, storia, realismo. Voluta dall’amministrazione comunale di Sapri.

Ed è polemica immediata. Sull’”Huffington Post” arriva un duro articolo di Manuela Ripetti, imprenditrice ed ex Senatrice del Gruppo Misto, prima tra le fila del Popolo delle Libertà e di Forza Italia, indignatasi per le fattezze della statua, pensata con un abito succinto, trasparente e con un atteggiamento provocante e lascivo, suggerendo di guardarle il bel sedere in mostra, tondo e perfetto, nel caso qualcuno non lo avesse notato”.

Non me ne voglia questa collega, ex parlamentare. Non capisco proprio il senso delle sue parole, tutte proiettate sui nostri stereotipi, sul nostro modo incoerente di rappresentare il giusto e lo sbagliato. Un moralismo strisciante, dilagante. Questa statua è un’immagine scolpita tra figurazione e commemorazione.  Emanuele Stifano, l’autore, è lontano da approcci simbolisti, linee d’astrazione o vocazioni concettuali. Lontano. Certo, anche da intenzioni veriste. Legittimo. A meno che non vogliate convocare qualche magistrato zelante, politicamente corretto, ad aprire un’indagine sul pubblico decoro:

Non doveva essere” – spiega lui – “un’istantanea fedele di una contadina dell’800, voleva bensì rappresentare un’idea di donna, evocarne la fierezza, il risveglio di una coscienza“.

Giuseppe, Sciuti, "Morte di Carlo Pisacane, olio su tela, 1890


Manco a dirlo è intervenuta Laura Boldrini che parla di “offesa alle donne e alla storia che dovrebbe celebrare“. Dalla Sicilia arriva la lettera delle Donne del PD di Palermo, le quali hanno inteso schierarsi “in modo netto e categorico per l’abbattimento di questa statua diseducativa e fuorviante che banalizza le donne e vanifica ogni comizio in favore della parità di genere urlato dalle poltrone politiche di ogni istituzione”.

Che la scelta di un’iconografia oggettivamente corporea, per alcuni erotica, a fronte di un tema alto, serio, per certi versi troppo evidenziato, risulti contraddittoria, è evidente. Il caso può però arrivare a trasformarsi in una battaglia femminista, contro la sessualizzazione dei corpi delle donne e la loro riduzione a oggetti erotici, inchiodati dall’occhio maschile a un mix di concupiscenza e giudizio?

Certo, un tema vero, articolato, di cui le società occidentali sono ancora permeate e che non si può rischiare di semplificare esasperando i contorni di una vicenda marginale  e un po’ sdrucciolosa. Serve davvero un iroso moto iconoclasta, che rischia di confondersi con un atto di moralismo talebano? Abbattere la statua! Abbattere la statua! Addirittura?

La prospettiva che ha fatto arrabbiare molto la politica più bacchettona e parti del mondo femminile

L’arte della scultura contempla i corpi da tempo immemore. Li restituisce ai nostri occhi fermando gli attimi e lo spazio. Il corpo nella sua molteplice capacità di esprimere rabbia, dolore, felicità, malinconia, fierezza, austerità, debolezza e bellezza, male e bene, potere e odio, sconfitta e vittoria. Penso alle tante mie amiche pittrici, ai pittori, agli scultori che conosco e amo, che certamente immaginano la censura della femminilità e della mascolinità come una sconfitta.

Il fatto è che non ci si indigna qui per via della raffigurazione di una femminilità florida, convincente, se pure l’artista valorizza una corporeità meridionale, con fianchi e bacino non esattamente anoressici e gambe meno slanciate delle icone della femminilità da copertina patinata. Ecco,  il puritanesimo non c’entra e non può entrarci con l’arte, mai. L’arte non sceglie vie rassicuranti, non teme provocazioni e perversioni, sa essere selvatica, erotica, maleducata, smisurata. Contro ogni principio di censura. E se pensiamo che il recente processo di liberazione dei corpi femminili dal letargo di secoli di fragilità e marginalità  è stato parte integrante delle  lotte al femminile, è chiaro che il problema, per chi oggi parla di maschilismo, non può essere lo scandalo di un corpo nudo o attraente.

Il problema sorge quando un'altra enorme catena si sostituisce alla precedente, quando, come scrive bene su Artribune, Helga Marsala “a imporsi è l’imperativo categorico di una bellezza a tutti i costi erotizzata, compressa nei canoni stabiliti del fashion system e dallo show business,  quando molte ragazze e ragazzi restano schiacciati da questo modello”, inseguendolo, sognandolo e poi maledicendolo quando ne restano esclusi o ne scorgono il senso di dominio sui loro gusti, il loro vestire, il loro relazionarsi al mondo, il loro pensare, il loro stesso futuro.

Nella polemica è intervenuto direttamente l’autore. Abbiamo già letto qualche rigo del suo pensiero.  Credo che migliore spiegazione di cos’è l’arte, e di quanto sia ossigeno indispensabile la libertà per ogni artista, non possa immaginarsi che nelle sue parole.  La libertà di pensare, gridare, cantare, dipingere, scrivere, suonare  e poetare. Una libertà assoluta, insopprimibile. L’ artista cilentano si  è dichiarato allibito: “Se fosse stato per me”, ha scritto Emanuele Stifano sul suo profilo Facebook, “avrei fatto una figura completamente nuda, lo stesso vale per il Palinuro di qualche anno fa e per le statue che farò in futuro, semplicemente perché sono amante del corpo umano in generale e mi piace lavorarci. Penso comunque che sia inutile dare spiegazioni a chi vuole assolutamente vederci depravazioni o cose varie. Quando realizzo una scultura tendo sempre a coprire il meno possibile il corpo umano, a prescindere dal sesso. Nel caso della Spigolatrice, poiché andava posizionata sul lungomare, ho approfittato della brezza marina che la investe per dare movimento alla lunga gonna, e mettere così in evidenza il corpo. Questo per sottolineare una anatomia che non doveva essere un’istantanea fedele di una contadina dell’Ottocento, bensì rappresentare un ideale di donna, evocarne la fierezza, il risveglio di una coscienza, il tutto in un attimo di grande pathos. Aggiungo che il bozzetto preparatorio è stato visionato e approvato dalla committenza. A chi non mi conosce personalmente dico che metto in discussione continuamente il mio operato, lavorando con umiltà e provando sempre a migliorarmi, lungi da me accostarmi ai grandi maestri del passato che rappresentano un faro che mi guida e mi ispira”.

Una foto di IBM relativa all'intelligenza artificiale. Raffigura un uomo o una donna?

Aggiungo, per chiudere, una frase di Thomas John Watson Sr, già presidente e amministratore delegato di IBM: “Un uomo schiacciato dall'avversario può sempre rialzarsi. Un uomo schiacciato dal conformismo è vinto per sempre.”

Commenti

  1. Condivido quanto dice l'autore. Penso che l'arte sia interpretativa e che l'opera realizzata rappresenti in concreto la visione che l'artista ha del soggetto rappresentato. Chi può dire cn assoluta certezza che l'immagine stereotipata di una contadina dell'epoca sia quella giusta? A me piace pensare a una donna che, un mattino presto sola e in piena libertà, è andata a "spigolare", incurante della forte brezza marina che, incollandole addosso la veste sottile, ha messo in evidenza le sue belle forme e si è trovata per caso ad assistere a una scena che non aveva previsto di vedere. La statua è bellissima, è un inno alla vita di fronte all'eccidio di trecento uomini, e anche un inno alla libertà che la donna impersona di fronte al tentativo fallito di liberazione, da parte di quei martiri. Complimenti all'artista.

    RispondiElimina

Posta un commento

Post popolari in questo blog

“Come faccio io a non piangere”

Diciamo le cose come stanno: il ddl Zan è fascista

Le tre caratteristiche letterarie del nuovo libro di Patrizia Bianco. Un romanzo di genere, poi storico, soprattutto psicologico