I venti anni dell'euro e i nuovi venti di guerra. Fra celebrazioni e futuro politico dell'Europa

 

I vent’anni dell’Euro



 
Le implicazioni culturali, sociali economiche e politiche di una scelta epocale

 

di Gianfranco Blasi

 

Lectio per i “Mercoledì dell’Accademia”  

 

Accademia Tiberina di Basilicata

 

Mercoledì, 9 Marzo 2022

 

 

 

La relazione si sviluppa in cinque parti:

1.  L’inquadramento storico.

2.  Gli effetti prodotti dall’Euro.

3.  I nuovi ambiti di politica monetaria e l’uso della leva finanziaria come strumento di conflitto globale.

4.  Gli aspetti politici e il futuro dell’Unione dopo l’unità monetaria, che da sola non basta.

5.  Gli ultimi scenari geopolitici e di guerra. Il ritorno all’idea di frontiera.

 

Premessa

L'euro, dunque, compie 20 anni e si prepara alle sfide del futuro.

Sono stati questi, due decenni in cui la moneta unica ha superato diverse crisi, ma che l'hanno vista comunque affermarsi come seconda divisa del mondo.

Era il primo gennaio 2002 quando  i cittadini di 12 paesi dell'Ue hanno toccato con mano per la prima volta le banconote e le monete in euro. Si è trattato del più poderoso cambio di valuta della storia dell'umanità, capace di coinvolgere centinaia di milioni di persone.

Oggi l'euro è la moneta di oltre 340 milioni di donne ed uomini in 19 Stati membri dell'Unione

Come noto, in occasione dell'anniversario, la facciata della sede principale della Bce a Francoforte è stata illuminata con proiezioni a tema. Ciò è accaduto dal Capodanno, ogni sera, fino al 9 gennaio. Persino i tedeschi più indocili hanno ceduto al fascino di un valore, in quei giorni espresso simbolicamente, che non è solo teutonico, ma è un bene ormai prezioso degli europei tutti e per l’Europa, possiamo dircelo, nella sua versione meglio riuscita.

 

1.  Le origini

La moneta unica ha cominciato a prendere forma all'inizio degli anni Novanta. L’euro è stato introdotto, infatti, il 1 gennaio 1999, ma, attenzione, solo come moneta virtuale, utilizzata cioè dalle banche e dai mercati finanziari.  

Per la maggior parte delle persone, come detto, è  diventata una vera e propria moneta (soldi in tasca) il 1 gennaio 2002, quando banconote e monete sono entrate in circolazione. All’inizio in dodici paesi, tra cui Spagna, Francia, Germania e Italia. L’Inghilterra, pur all’epoca aderendo all’Unione politica, non ha mai condiviso l’unione monetaria. E’ probabile, non sicuro, che questa situazione sia stata alla base della così detta brexit. Cioè dell’abbandono  degli inglesi dell’idea di Unione Europea e dell’uscita degli stessi dalle istituzioni di Bruxelles. Alcune altre ragioni geo - politiche e culturali hanno determinato questa scelta, ma non aver aderito alla moneta unica ha favorito senz’altro le posizioni più nazionaliste, autarchiche, tardo imperiali, filo americane e conservatrici degli inglesi.

2.  Euro e Lira: quanto valeva in lire un euro

L'euro è stato accolto dagli europei con buon entusiasmo, nonostante la paura dell'inflazione e dell'arrotondamento, di cui fra un po’ parleremo più diffusamente,  soprattutto delle condizioni che determinarono, almeno in Italia e Spagna, e che all’epoca crearono dei problemi reali, la tendenza dei prezzi 'al rialzo. E' successo dobbiamo ammetterlo sopratutto qui da noi, dove l'euro valeva al cambio  1.936 lire.

Un fatto all’apparenza tecnico che ha prodotto però una perdita netta di potere d’acquisto per gli italiani. Anche un ritardo nella perequazione sociale e dei redditi da lavoro. Solo poche categorie beneficiarono degli effetti di un cambio sbagliato, che prendeva di mira la debolezza monetaria della lira. Sembrò, all’epoca, che l’euro volesse in qualche modo misurare, con le scelte di cambio, la grandezza, il peso economico di ciascun stato membro e che questa specificazione prevalesse sullo spirito unitario, sull’idea di Europa come doveva essere, cioè una entità inseparabile.

Negli anni immediatamente precedenti, lo ricorderete, il nostro governo sosteneva  la bilancia commerciale, chiudendo un occhio sull’inflazione e sulla debolezza della lira, promuovendo così, indirettamente, la competitività delle nostre esportazioni. Con l’Euro ci trovammo all’improvviso entro un meccanismo rigido, dove la leva monetaria non era più utilizzabile per speculazioni di sorta.

Ma, è innegabile che il cambio a 1.936 lire avvantaggiò maggiormente i paesi che erano possessori - in precedenza - di monete più stabili e meno volatili, meno esposte alle intemperie dei mercati. Al contrario della nostra, comunque, amata vecchia lira. Alcuni di voi, non per romanticismo, ma per mettersi solo in pari con le mie stagioni, non possono non ricordare le note di una canzone che ha fatto storia: “Se potessi avere 1.000 lire al mese”. Ecco, con l’euro l’idea delle mille lire, del loro peso e significato, è stata spazzata via dal tintinnio, molto residuale, dei 50 centesimi.

 


Abituarsi alla nuova moneta e al nuovo calcolo ha richiesto molti mesi di aiuti istituzionali e concreti, mi riferisco alla vita di tutti i giorni, penso senz’altro ai doppi prezzi esposti e, invece in negativo, ve lo ricorderete, molti casi di prezzi che vennero rivisti quasi ineluttabilmente, con esplicita malizia, al rialzo. 

3.  La scelta del nome

Il nome della nuova moneta è stato deciso al Consiglio europeo di Madrid nel dicembre 1995. Devo dire, senza grande fantasia. Non è che la moneta negli States si chiami “Americo” o a Mosca “Russo”.  Ma tant’è. Per altro, ormai, il nome “Euro” è entrato nell’uso comune del linguaggio. Se pure con non pochi errori grammaticali e di senso, ancora oggi, nell’uso sbagliato del plurale.

Quattro mesi prima della sua introduzione, la Banca centrale europea e le banche centrali nazionali hanno consegnato banconote e monete a banche e negozi. I bancomat e i distributori automatici sono stati adattati.

Le banconote sono emesse esclusivamente  dalla Bce, la Banca Centrale Europea,  e secondariamente dalle banche centrali nazionali, che hanno il diritto di farlo secondo il trattato di Maastricht (febbraio 1992).

Sarò più dettagliato: Per quanto ci riguarda, la Banca d'Italia emette le banconote in euro in base ai principi e alle regole fissati nell'Eurosistema, su disciplina, indirizzo e controllo della Bce.

Nell'ambito dell'Eurosistema, la Banca d'Italia produce la quantità di banconote in euro ad essa assegnata, immette le banconote in circolazione e provvede al ritiro e alla sostituzione dei biglietti deteriorati, partecipa all'attività di studio e sperimentazione di nuove caratteristiche di sicurezza dei biglietti, contribuisce alla determinazione dei quantitativi da produrre e alla definizione di indirizzi comuni che concernono  la qualità della circolazione e l'azione di contrasto della contraffazione.

La Banca d'Italia, inoltre, esercita poteri di controllo sui gestori del contante (banche e altri operatori del contante) e, nei casi di inosservanza delle disposizioni che ne disciplinano l'attività, può adottare provvedimenti sanzionatori e di divieto.

In Italia le monete in euro sono coniate dall'Istituto Poligrafico e Zecca dello Stato per conto del Ministero dell'Economia e delle Finanze che, in qualità di ente emittente, provvede alla loro distribuzione sul territorio nazionale avvalendosi delle Filiali della Banca d'Italia.

 

 

La contraffazione

A proposito di contraffazione, in Italia, nel 2018, ultimo anno di stima disponibile, sono stati ritirati 161.572 tagli di euro perché falsi. Per lo più pezzature da 20 (il 44,53%) e da 50 (il 42,74%), sebbene vengano "clonati" anche pezzi da 5, da 10, da 100, da 200: l'arroganza dei falsari è tale che, un anno e mezzo fa c'è chi, tra di loro, per i mercati del nord Europa, aveva pensato ad una banconota da 300 euro, un taglio inesistente. Un rischio grande quanto inutile, che pure ha prodotto una truffa da 215.000 euro. Un’altra curiosità. Nel nostro Paese, segnatamente nelle province di Napoli e Caserta agisce storicamente un gruppo di falsari 'professionisti', responsabili dell'80% della falsificazione a livello mondiale. Non significa che tutte o quasi tutte le banconote false prodotte nel mondo vengano realizzate materialmente in quell'area: ma tipo di contraffazione, architettura, procedimenti seguiti sono quasi sempre di 'scuola' napoletana e casertana.

 

4.  Restyling in arrivo 

Nel 2024 è previsto il restyling dell'euro. Nelle scorse settimane la Bce ha avviato la consultazione per ottenere la collaborazione dei cittadini per il nuovo disegno. Si realizzeranno nuove monete con gli stessi tagli e coni. Si studieranno nuovi disegni e personaggi o luoghi simbolo da imprimere sull’euro dei prossimi vent’anni


5.  La storia

 

Dopo decenni di discussioni su come conseguire un'Unione economica e monetaria, che fino ad allora aveva portato soltanto al'ECU, unità di conto europea, nel 1988 fu istituito il comitato Delors. Sotto la presidenza di Jacques Delors, allora presidente della Commissione, il comitato esaminò specifiche misure graduali verso l'adozione di una moneta unica. L'accordo che i leader politici firmarono successivamente a Maastricht nel 1992 diede vita alla moneta unica, sulla base della relazione del comitato Delors e dei successivi negoziati.

La firma del trattato di Maastricht è una tappa cruciale del percorso verso l'Euro.

Nel 1994 l'Istituto monetario europeo (IME) a Francoforte ha avviato i lavori preparatori per consentire alla Banca centrale europea (BCE) di assumere la responsabilità della politica monetaria nella zona Euro. Il 1º giugno 1998 la BCE è diventata operativa.  Il 1º gennaio 1999 l'Euro fu introdotto, diventando la moneta ufficiale di 11 Stati membri.

 

6.  I Paesi membri dell’Euro

 

Durante i primi tre anni, tuttavia, fu "invisibile", in quanto utilizzato solo a fini contabili e per i pagamenti elettronici. Le monete e le banconote entrarono in circolazione, come detto in premessa, il 1° gennaio 2002 in 12 Paesi. I membri fondatori sono stati Austria, Belgio, Finlandia, Francia, Germania, Irlanda, Italia, Lussemburgo, Paesi Bassi, Spagna e Portogallo. La Grecia si è unita nel 2001. Da allora, altri sette Stati membri hanno adottato l'euro (Cipro, Estonia, Lettonia, Lituania, Malta, Slovacchia e Slovenia).





 

7.  Fuori dall’Europa

 

L’Euro è utilizzato anche come valuta ufficiale o di fatto (e come "moneta ancora" – così si dice) da una serie di regioni geograficamente al di fuori dell'Unione europea: Azzorre e Madera (Portogallo), Isole Canarie, Ceuta e Melilla (Spagna), Guyana francese, Isole francesi dei Caraibi, Mayotte, Riunione, Saint Pierre e Miquelon (Francia). L'Euro è anche la valuta di alcuni Paesi extra UE: Andorra, Kosovo, Montenegro, Il Principato di Monaco, San Marino, Città del Vaticano.

 

8.  Due punti a favore e uno contrario

Oggi, nel suo secondo anniversario, la moneta unica può essere ricordata per almeno tre fatti. Il primo è indiscutibile, ed è positivo: la stabilità dei prezzi e il calo dei tassi d'interesse. Con l'euro imprese e famiglie italiane si sono trovate gli stessi tassi passivi di quelle tedesche, cosa fin lì impensabile, e non più quelli del sistema Italia, molto più instabile. Certo, anche quelli attivi si sono ridotti di conseguenza, ma per un Paese con un enorme debito pubblico, come il nostro, e per le imprese che dovevano competere sui mercati internazionali si è trattato senz'altro di un fatto positivo.

La seconda questione è invece meno bella: il cambio di 1936,27 lire per un euro è stato un prezzo troppo alto da pagare. Con un'altra complicazione: la mancanza delle banconote da uno e due euro - richieste invano dall’indagine conoscitiva del parlamento italiano. Lo affermai solennemente proprio in Parlamento, tenendo un discorso ampio su questo tema specifico. Ricordo che ebbi l’onore, che mi consente di essere citato in quei documenti ufficiali, oggi storici, di rivestire l’incarico di Relatore per la Camera dei Deputati di quell’Indagine conoscitiva del Parlamento Italiano che analizzò ogni possibile problematica. Partecipai a tutte le più importanti trasmissioni televisive e radiofoniche. Fui intervistato dalle maggiori riviste e dai principali giornali . Molto più di me, naturalmente, fece, con la sua autorevolezza (anche in sede europea),  l’allora ministro dell'Economia, il prof. Giulio Tremonti.

I Paesi nordici che oggi definiamo “frugali” e la stessa Germania si opposero alla carta moneta di uno e due euro. Ricordiamo che noi avevamo le 1.000 e le 5.000 lire di carta. Ciò ha comportato non solo in Italia (più in generale nell’area meridionale dell’Unione) una sorta di svalutazione psicologica di tutte quelle monetine che, invece e sostanzialmente, avevano un valore enorme. Gli italiani, infatti, abituati ad avere in tasca monete per 4-500 lire di carta e a considerale “soldi pesanti”, se ne sono ritrovati improvvisamente per 3, 4 euro  e diversi centesimi in monetine, senza realizzarne il valore. Allo stesso modo, chi vendeva frutta a 2.250 lire al chilo, si è trovato a trasformare il prezzo in 1 euro e 16 centesimi. E quei 16 cent, per noi così incomprensibili, sono prima diventati  20, poi 50 e infine 1 euro, verso quel cambio mentale, ma non sostanziale, di 1 a 1 (mille lire – 1 euro) che ha avvantaggiato qualcuno (pochi) e indebolito altri (molti).

Comunque, quella fase è oggi superata. Forse l’unico gap che è rimasto, soprattutto con Francia e Germania riguarda la disparità salariale. Un medico, un poliziotto, un insegnate, un operaio tedesco guadagna mediamente un terzo di stipendio lordo più di un italiano. Divario che aumenta nel precariato e nel mondo lavorativo femminile. Questo, rispetto al potere di acquisto, ai consumi, ai risparmi e alla qualità della vita, non può non essere ancora oggi – non dovrebbe essere così – un problema da superare.

 

Infine la terza questione, quella socio economica e politica. Con la crisi greca e dello spread del 2011, l'euro è diventato, non senza contraddizioni, ma alla fine con molta forza politica, il grande scudo delle nostre nazioni.

Ricordiamo cos’è lo spread. Questa parola inglese la si potrebbe tradurre con il termine “scarto”, ovvero, la differenza tra due misure. Infatti, lo spread rappresenta una differenza tra due titoli di stato, nel caso di specie, uno italiano e uno tedesco,

Aggiungiamo pure che gli aumenti dello spread, determinati dai mercati finanziari, dipendono dal fatto che gli investitori ritengono che il nostro debito pubblico continuerà a crescere e sono dunque disposti ad acquistare i nostri titoli di Stato soltanto se offerti con rendimenti elevati. Ma, più interessi paghiamo sul debito, più difficoltà avremo nel medio periodo di ridurre la massa di debito pubblico. Il senso è questo: meno fiducia si ha sui nostri fondamentali economici, sull’azione del nostro governo, sulla nostra stabilità politica, più lo spread tende ad aumentare.


 

 


9.  Un simbolo

Torniamo all’euro. Ormai, è divenuto un simbolo, forse il simbolo dell'integrazione e dell'identità dell'UE. Oggi, più di 340 milioni di persone lo utilizzano in 19 paesi, con 27,6 miliardi di banconote in circolazione per un valore di circa 1,5 trilioni. Non a caso l'euro è attualmente la valuta più utilizzata al mondo dopo il dollaro USA.

La frase manifesto che racchiude il senso dell’integrazione europea attorno all’euro è senz’altro: «Whatever it takes» (in italiano "Tutto ciò che è necessario" o anche "Costi quel che costi"), alcuni lo ricorderanno, vi sto parlando della famosissima locuzione in lingua inglese che il governatore della Banca Centrale Europea, Mario Draghi, oggi nostro Presidente del Consiglio, pronunciò il 26 luglio 2012, nell'ambito della crisi del debito sovrano europeo, per indicare che la BCE avrebbe fatto whatever it takes, qualunque cosa per salvare alcuni paesi, fra i quali il nostro, e con essi la moneta unica e l’economia europea nel suo insieme, a suo giudizio e non solo, inseparabili.

 

 

10.                  Il ruolo dell’Euro nel mondo

Mentre celebra questo 20° anniversario, l'UE continua il lavoro per rafforzare il ruolo internazionale dell'euro e adattarlo alle nuove sfide, tra cui la rapida digitalizzazione dell'economia e lo sviluppo delle valute virtuali. Come complemento al contante. In un contesto che appare rivoluzionario, soprattutto per gli ortodossi della Finanza. Invece, vedrete che in non troppo tempo accadrà, posto che un euro digitale sosterrebbe un settore dei pagamenti ben integrato e offrirebbe una scelta più ampia a consumatori e imprese.

Ursula von der Leyen , presidente della Commissione europea, ha dichiarato a questo proposito: “Sono ormai vent'anni che noi, cittadini europei, possiamo portare l'Europa nelle nostre tasche. L'euro non è solo una delle valute più potenti del mondo. È, prima di tutto, un simbolo dell'unità europea. Le banconote in euro hanno un ponte su un lato e una porta sull'altro, perché questo è ciò che l'euro rappresenta. L'euro è anche la valuta del futuro, e nei prossimi anni diventerà anche una moneta digitale. L'euro riflette  i nostri valori. Il mondo in cui vogliamo vivere. È la valuta globale per gli investimenti sostenibili. Possiamo esserne tutti orgogliosi».

Il compianto, David Sassoli, ex Presidente del Parlamento Europeo, ci ha lasciato questa dichiarazione, che mi piace definire anticipatrice dei tempi che saranno:  “ L'euro è l'incarnazione di un ambizioso progetto politico per promuovere la pace e l'integrazione all'interno dell'Unione Europea. Ma l'euro è anche una condizione per tutelare e rilanciare il modello economico, sociale e politico europeo di fronte alle trasformazioni del nostro tempo. L'euro è un simbolo, la concretizzazione di una visione politica storica, un'antica visione di un continente unito con una moneta unica per un mercato unico . "

Ecco anche, Charles Michel, presidente del Consiglio europeo: “ L'euro ha fatto molta strada. L'euro è diventato parte di ciò che siamo. E come ci vediamo come europei. Parte della nostra mentalità, del nostro spirito europeo.  E ciò non è mai stato più vero che durante il COVID-19. L'euro è servito da fondamento della stabilità ed oggi alimenta anche la nostra ripresa. 

Christine Lagarde, presidente della Banca centrale europea, ha, infine, sostenuto:  “ Gli euro che abbiamo in mano sono diventati un faro di stabilità e solidità in tutto il mondo. Centinaia di milioni di europei si fidano della nostra moneta e trattano con essa ogni giorno. È la seconda valuta più internazionale al mondo. In qualità di presidente della Banca centrale europea, mi impegno a continuare a lavorare sodo, in continuità con il mio predecessore, per garantire il mantenimento della stabilità dei prezzi. E mi impegno anche a rinnovare il volto di quelle banconote e a dare loro anche la dimensione digitale ».

 

 

 

11.                  La guerra delle valute

Tornando alla scelta di Draghi di cambiare il senso della Banca Centrale Europea, facendola divenire uno strumento, anche squisitamente politico e non solo di politica monetaria, è bene fissare un concetto.

Procedere all’acquisto di titoli del debito pubblico dei paesi dell’Eurozona e di istituzioni sovranazionali, sostanzialmente garantendo lo stesso debito pubblico dei singoli paesi europei, è stata descritta da molti osservatori, studiosi e dagli stessi organi di informazione come la decisione, da parte dell’istituto di Francoforte, di passare all’uso del bazooka dopo anni inutilmente spesi a combattere i rischi di deflazione a colpi di fioretto. L’analogia di stampo militare, per quanto forse enfatica, non è fuori luogo. L’immagine coglie un aspetto non secondario della mossa dell’istituto di emissione, della mossa di Mario Draghi, allora fortemente osteggiata dai tedeschi, non solo dai falchi liberali tedeschi, ma anche dalla Merkel.

Cosa fece Draghi con quella mossa? Partecipò attivamente e definitivamente alla cosiddetta «guerra delle valute», con l’intenzione di cambiare il destino (masochisticamente scelto fino ad allora) dell’euro come moneta volutamente predestinata alla sconfitta.

Una moneta prudente, che serviva solo a dare stabilità finanziaria (analoga accusa era stata mossa, in anni immediatamente precedenti, dal compianto Antonio Martino, ex Ministro degli Esteri e della Difesa in più governi). Una moneta piatta che attraverso il Patto di Stabilità sviluppava una basica attività di rigoroso controllo finanziario, impedendo processi espansivi, di crescita e di sviluppo. Condizionando anche la fiscalità generale dei singoli paesi, costretti a non poter diminuire proprio la pressione fiscale. Sottolineiamo che se un paese non produce ricchezza è costretto a tenere le tasse alte a cittadini e imprese che a loro volta non producono risparmi e investimenti. A ben vedere: un cane che si morde la coda.

 

La Banca centrale cinese, La Fed americana, il Fondo sovrano russo, quest’ultimo grazie alla vendita del gas, al prezzo di gas e petrolio capace di decuplicarsi in pochi anni, fanno a gara per acquisire forza, far diventare la propria moneta di riferimento una moneta di riserva internazionale.

Più i paesi sono forti politicamente ed economicamente, più la loro moneta diventa riferimento, bene rifugio e strumento di contrattazione di beni e servizi sul piano globale. L’euro dal 2012, dall’anno della scelta di Draghi, si è consolidata come la seconda riserva monetaria globale.

Ecco allora una domanda non banale. Permettetemi, a questo punto, l’uso di una seconda locuzione, ne userò, in ultimo, una terza. La seconda locuzione è «guerra delle valute», per descrivere operazioni puramente finanziarie e monetarie – quindi non strettamente legate, ma con forti ricadute sull’economia reale. Qualcuno si pone questa domanda: L’uso della moneta come arma e non come strumento non rischia a sua volta di essere troppo enfatico? Sinceramente, credo proprio di no! Se si considera che quella che si è combattuta sulle piazze finanziarie del pianeta (in particolare da parte delle banche centrali, ma anche attraverso gli operatori finanziari globali, i grandi player mondiali come Tesla, Microsoft, Amazon, Google, e poi dai grandi Fondi Sovrani e Privati) è una guerra, cosa se non una guerra, combattuta «a colpi di bazooka» finanziari, di acquisizioni di stock di moneta. Una vera e propria battaglia con precise regole d’ingaggio, che ha prodotto pesanti danni all’economia reale dei paesi coinvolti, talvolta più gravi di quelli che avrebbe creato un vero conflitto bellico. Un po’ come avviene con la cibernetica, con Internet e con l’uso di dati ed informazioni sensibili. Provate, amiche ed amici cari, a immaginare solo cosa ci sarebbe successo se avessimo dovuto affrontare oggi queste turbolenze finanziarie con la nostra vecchia, romantica, ma fragile, Lira.

Fate mente locale, peraltro, a come tutte le limitazioni finanziarie portate in questi giorni alla Russia, le così dette sanzioni, soprattutto quelle monetarie, stiano indebolendo strutturalmente e sistematicamente l’economia complessiva di quel paese. Cosa significhi non poter accedere alla piattaforma Swift, che è quella che consente bonifici e trasferimenti di denaro fra persona e persona, società e società, eccetera. Oppure essere esclusi dai circuiti MasterCard o Visa. Peggio ancora, vedersi precluso l’accesso ai propri conti correnti fuori piazza, cioè all’estero.

 

12.                  Un lungo viaggio

L'euro ha fatto, dunque, molta strada dalle prime discussioni su un'Unione economica e monetaria alla fine degli anni '60.

Ricapitoliamo.  

-        Nel 1988 il Comitato Delors ha affrontato per la prima volta passi specifici verso una moneta unica. 

-        Nel 1992, il Trattato di Maastricht ha segnato un momento decisivo nel passaggio all'euro.

-        Nel 1999, l'euro è stato lanciato in 11 Stati membri come valuta contabile sui mercati finanziari e utilizzato per i pagamenti elettronici. 

-        È stato finalmente il 1° gennaio 2002 che Austria, Belgio, Finlandia, Francia, Germania, Grecia, Irlanda, Italia, Lussemburgo, Paesi Bassi, Portogallo e Spagna hanno scambiato le loro banconote e monete nazionali con euro. 

-        La Slovenia è entrata nell'euro nel 2007, seguita da Cipro e Malta (2008), Slovacchia (2009), Estonia (2011), Lettonia (2014) e Lituania (2015). 

-        Attualmente, la Croazia sta compiendo i passi preparatori per l'adesione, che prevede di fare il 1° gennaio 2023, a condizione, ovviamente, che soddisfi tutti i criteri di convergenza.

-        Ci ha pensato poi Mario Draghi, nel 2012, con il suo “Whatever it takes” a cambiare ruolo e forza internazionale all’euro e in un certo qual modo all’Unione Europea, all’idea stessa di Europa.

 

 

A questo punto possiamo affermarlo con certezza. Si tratta di un giudizio storico consolidato dai fatti.

L’euro ha determinato, dopo un breve primo periodo di assestamento, vent'anni di vantaggi per stati, cittadini, famiglie e imprese della nostra vecchia Europa.

 

La moneta unica ha contribuito a mantenere stabili i prezzi e ha protetto le economie dell'area dell'euro dalla volatilità dei tassi di cambio. Ciò ha reso più facile per gli acquirenti di case, per le imprese e i governi europei, per quanti avevano necessità anche più quotidiane, prendere in prestito denaro e ha incoraggiato il commercio all'interno e all'esterno dell'Europa. L'euro ha anche eliminato la necessità del cambio valuta e ha abbassato i costi di trasferimento di denaro, rendendo più semplice viaggiare e trasferirsi in un altro paese per lavorare, studiare o andare in pensione. Pensate a quanti italiani scelgono di andare a vivere e godersi la propria pensione in paesi fiscalmente più vantaggiosi del nostro. Il Portogallo è l’esempio più plastico di queste scelte. Tutto ciò è possibile grazie all’euro.

Non è un caso che la grande maggioranza degli europei sostiene la moneta unica. Secondo tutti i sondaggi di ciascun paese membro. A cominciare  dall’ultimo di Eurobarometro, a giudizio del quale il 78% dei cittadini dell’area euro ritiene che la moneta unica sia un gran bene per l’Unione.

 

 

13.                  Un ruolo internazionale rafforzato

Vediamo, ora, perché l'euro è diventata la seconda valuta più importante nel sistema monetario internazionale. La sua stabilità e credibilità ne hanno fatto una valuta di fatturazione internazionale, una riserva di valore e una valuta di riserva, che rappresenta circa il 20% delle riserve valutarie globali. Sessanta altri paesi e territori in tutto il mondo, che ospitano circa 175 milioni di persone, hanno scelto di utilizzare l'euro come valuta o di fissarvi la propria. Oggi l'euro viene utilizzato per quasi il 40% dei pagamenti transfrontalieri globali e per più della metà delle esportazioni dell'UE.

Dalla crisi finanziaria globale del 2008 e dalla successiva crisi del debito sovrano, l'Europa ha continuato a rafforzarsi  e con essa l'Unione economica e monetaria. Il piano di ripresa senza precedenti: NextGenerationEU, migliorerà ulteriormente la resilienza  della zona euro e rafforzerà la convergenza economica. L'emissione di obbligazioni denominate di alta qualità nell'ambito di NextGenerationEU aggiungerà profondità e liquidità significative ai mercati dei capitali dell'UE e renderà loro e l'euro più attraenti per gli investitori. L'euro è ora anche la moneta principale per gli investimenti verdi: metà dei green bond mondiali sono denominati in euro, e questa cifra è in aumento grazie ai nuovi green bond emessi per finanziare NextGenerationEU.

Per sviluppare ulteriormente il ruolo internazionale dell'euro, la Commissione ha avviato iniziative di sensibilizzazione per promuovere gli investimenti denominati in euro, facilitare l'uso dell'euro come valuta di fatturazione e di denominazione e favorire una migliore comprensione degli ostacoli al suo più ampio utilizzo. Questa sensibilizzazione assumerà la forma di dialoghi, workshop e sondaggi con il settore pubblico e privato, le agenzie di regolamentazione finanziaria e gli investitori istituzionali nei paesi partner regionali e globali dell'UE.

 


14.                  Alcune problematicità

E’ evidente agli addetti ai lavori che la grossa mole di liquidità immessa in questi anni dalla Banca Centrale Europea per sostenere i singoli Stati durante la Pandemia e per promuovere NextGenerationEu ha prodotto una distorsione finanziaria. L’eccesso di circolante, insieme all’aumento delle materie prime energetiche, crea inflazione. Vi è in circuito della moneta superiore ai beni e servizi prodotti, acquistati e scambiati. Sono le regole auree dell’Economia Politica e di Scienze delle Finanze. La fase che vivremo nei prossimi mesi, se sarà fortemente espansiva per la spesa  dettata dagli investimenti del Piano di Ripresa e Resilienza, per quanto concerne la spesa pubblica dovrà invece essere anticiclica. Si proverà a restringere l’utilizzo in generale di denaro, in particolare di denaro a debito. La guerra se prolungata potrebbe modificare quest’andamento ed allungare il periodo così detto espansivo e di sostegno monetario ai singoli stati. Si parla della emissione di eurobond garantiti da tutti i paesi dell’Unione. Cioè di una quota di debito pubblico comune. Che magari, nel tempo, possa assorbire anche quote di debito nazionale. Il sogno di Giulio Tremonti che diventa realtà. Certamente, fra quest’ipotesi e quelle più coerenti ai vecchi modelli restrittivi, partirà una discussione serrata proprio sulle nuove regole del così detto Patto di Stabilità.

Diciamo un paio di cose leggermente più tecniche:

1. L’inflazione eccessiva  aiuta comunque i bilanci centrali a ridurre quote di debito pubblico;

2. Di converso, l’inflazione fa perdere di potere di acquisto a cittadini e imprese.

 

15.                  Una conclusione politica e un auspicio

Ora, per sviluppare un ragionamento politico finale sul momento storico che stiamo vivendo. Una sintesi che da me sempre ci si attende e che, naturalmente, non deluderò proprio questa sera, con le amiche e gli amici dell’Accademia, con i miei allievi che ci stanno seguendo e i graditi ospiti. L’anno che è iniziato da qualche mese, come bene hanno scritto alcuni osservatori e commentatori, è quello “del ritorno della frontiera”.

Qualche mese fa hanno iniziato a spirare inaspettati venti di guerra. In realtà, drammaticamente,  la guerra è già fra noi …

Dopo aver abolito con la moneta unica i vecchi muri tra gli Stati, l’Europa scopre alle soglie del 2022 di avere di nuovo un confine esterno, geograficamente marcato, politicamente sensibile, storicamente simbolico. Corre tra i Paesi Baltici e la Russia, la Bielorussia, l’Ucraina, per poi scendere fino al Mar Nero e alla Turchia. Interessa il Mediterraneo e le crisi Nord Africane.

Il Novecento ha danzato su questa parte del mondo, imprigionandola e poi liberandola. Il nuovo secolo sembrava nascere su una geografia pacificata, risolta, che traduceva nel disegno del continente europeo la sconfitta definitiva dei totalitarismi e la supremazia finale della democrazia vittoriosa. Un’illusione subito minacciata dall’attacco del terrorismo islamista alle due torri, e infine cancellata dagli attacchi diretti alla democrazia da parte dei risorgenti autoritarismi: che propongono ai cittadini disorientati dalla doppia crisi economica e sanitaria un modello semplificato di governance e di leadership, senza controlli e contrappesi, per dispiegare completamente tutta la potestà dei nuovi sovrani. Penso a Putin ed Erdogan, qui, vicino a noi. Nell’Europa cattolica, bizantina ed ortodossa.

 

 

La diversa interpretazione del concetto di democrazia corre proprio sul percorso di quella nuova frontiera, una linea che divide due diverse concezioni del potere, due teorie del comando, due ideologie in formazione. Da un lato il “democraticismo” della Ue, impegnata costantemente a tradurre in regole il suo credo nella democrazia delle istituzioni e dei diritti. Il nostro esemplare idealismo liberale e democratico. Dall’altro lato il sovranismo delle nuove “democrature”, impegnate a svellere gli istituti di difesa dello Stato di diritto e i meccanismi di affermazione quotidiana dei diritti fondamentali, dalla libertà di informazione alla contendibilità del comando, attraverso il libero gioco della politica.

Dunque il nuovo confine non è casuale, e non è nemmeno una sovrastruttura artificiale, estranea alla vicenda storica e al sentimento popolare. Anzi, è immediatamente evocativo, in quanto resuscita esattamente la contesa tra le due metà del mondo che si sono confrontate per tutto il periodo della Guerra Fredda. Come se la storia, dopo aver fatto un giro,  ritornasse al punto di partenza, incapace di uscire dai vecchi equilibri. Perché, amiche ed amici, dall’altra parte della frontiera noi troviamo nel 2022 il “nemico ereditario” dell’Europa politica: l’Est che ritorna. L’imperialismo russo che prova a rimontare sulla storia.

I punti cardinali sembravano smarriti in questa parte del mondo, da quando era crollata la pietra divisoria che separava i due campi: il Muro di Berlino, vero meridiano zero del pianeta che col primitivismo del cemento e del filo spinato distingueva l’Est dall’Ovest, simbolo armato di una guerra sospesa, che su quella barriera aveva il suo laboratorio d’esercitazione e il campo magnetico su cui scaricare tutte le tensioni di un conflitto latente.

 


Lo smantellamento del Muro ha liberato Paesi e destini, cambiando la mappa d’Europa, ricucendo il continente, mentre la fine dell’Unione Sovietica prosciugava ideologicamente il concetto di Est, e lo riduceva a una pura interpretazione geografica.

Oggi, l’Est torna a dare identità a un pezzo d’Europa, a dare forma di potenza a un pensiero alternativo, a incubare tra Russia, Bielorussia, e il destino dell’Ucraina, della martoriata Ucraina, tutte le crisi dell’epoca, per scaricarle sull’Europa. Di nuovo, due europe si fronteggiano, l’Ovest ritrova il suo Est e ricomincia la contrapposizione perenne.

Ma occorre un passo in più per reggere questa sfida. Con l’Est, con la Russia e la sua arroganza, la sua testarda mentalità espansionistica, la sua concezione distorta della guerra, non devono confrontarsi i singoli Paesi, bensì l’Occidente, attingendo al suo patrimonio di storia e di filosofia della politica, al suo deposito di cultura, di tecnologia, di diritto e di civiltà. Ma l’Occidente, che è oggi guidato da un leader in ritirata come gli Stati Uniti, e che ha appena conosciuto la trasgressione trumpista ai valori liberali della Costituzione, ha più che mai bisogno di Europa, Europa, Europa, per essere se stesso.

Ecco, accademiche ed accademici carissimi, amiche ed amici, miei brillanti e cari allievi, Il 2022 non celebra solo e banalmente i venti anni di euro. E’ questo l’anno del grande appuntamento per l’ Unione, l’occasione decisiva per trovare una soggettività politica e un ruolo da protagonista che le consenta di investire finalmente il valore politico della sua moneta in una politica estera e di difesa comune, in una tutela dei valori occidentali, in una testimonianza dei principi della democrazia, da affermare in ogni crisi, come fonte di autorevolezza.

Serve il coraggio di un’innovazione istituzionale. Salvo assistere da attori non protagonisti alla rivincita dell’Est: con i destini d’Europa decisi dalla Russia resuscitata, perché davvero, drammaticamente, eterna. Una Russia confusa dal suo leader, un presidente che ha sempre più le sembianze di un dittatore. Mai avremmo immaginato di ritrovarci in Europa un nuovo dittatore. Un uomo solo al comando, che elimina il dissenso, chiude Internet, imprigiona ed uccide gli oppositori. Pensate, fra le tante brutture, alla scelte di arruolare, nel suo esercito, le brigate mussulmane cecene. Soldati mercenari, integralisti religiosi, chiamati ad uno scontro frontale con i cristiani ucraini, con la possibile devastazione delle nostre chiese europee, con la fragile esposizione al massacro delle donne e dei bambini ucraini. Una scelta, questa di Putin, che spiega drammaticamente il suo disprezzo nei confronti della nostra cultura e ci fa capire quanto sarà difficile che si fermi e quanto sia, invece, urgente sostenere l’Ucraina come confine ideale dei nostri valori e dei nostri confini europei.

E, non dimentichiamolo, sullo sfondo, ancora un po’ più ad Est, c’è la Cina comunista, illiberale e priva totalmente di cultura democratica, organizzata come regime per le sue necessità interne e persino e solo per tradizione storica e culturale. Un paese enorme con l’intenzione di esercitare fino in fondo la sua influenza.

Ecco perché l’Europa unita non è solo un ideale da raggiungere ma anche un irrinunciabile bisogno da soddisfare.




Il coraggio del momento storico

E’ con una terza locuzione, questa volta  latina che voglio lasciarvi. E’ tratta dalle Odi del poeta Orazio (Primo libro , Undicesima Ode, Ottavo verso), ed è traducibile in "afferra il giorno", ma spesso resa con "cogli l'attimo", traduzione non letterale ma ugualmente efficace a trasmettere il concetto che le parole latine volevano esprimere. Viene di norma citata in una forma abbreviata, anche se sarebbe opportuno completarla con il seguito del verso oraziano: "quam minimum credula postero" ("confidando il meno possibile nel domani"). E’ un invito a sperimentare, godere ogni giorno dei beni offerti dalla vita, dato che il futuro non è prevedibile, o se lo è, può farsi minaccioso. E’da intendersi non come invito alla ricerca del piacere, ma ad apprezzare ciò che si ha. 

Ciò che si è. 

Ciò che si vuol continuare ad essere.

 

Si tratta non solo di una delle più celebri orazioni della latinità, ma anche di una delle filosofie di vita più influenti della storia,  nella quale Orazio, il lucano Orazio, fece confluire tutta la potenza lirica della sua poesia.

Per intenderci, e per salutarvi … L’Europa è al suo “Carpe Diem”.

Anzi, chiedendo scusa ai puristi delle lingue, combinando con molto rispetto e forse sgarbatamente, inglese e latino, potremmo provare ad affermare, creanado uno slogan di questa serata: “Carpe diem. Whatever it takes, carpe diem” (Cogli l’attimo. Ad ogni costo, cogli l’attimo).

Grazie a tutti, di cuore

Gianfranco Blasi

 

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