Il Palazzetto Coni a Montereale, un luogo di comunità

La palestra, quella palestra, non era soltanto muri e parquet: era spazio di amicizie che duravano una vita, di timidezze, di primi baci. Era il luogo di amori e di tradimenti, di coppie poi diventate famiglie. Era soprattutto il teatro di battaglie sportive senza esclusione di colpi.


Il Palazzetto Coni "Silvio Nocera" di Montereale, chiuso da alcuni decenni


Ripensando al caro amico e collega d’ufficio, il compianto Dino Viggiano, mi è tornato alla mente un articolo che scrissi anni fa, dedicato alla Palestra di Montereale a Potenza. Oggi l’impianto è ancora abbandonato. C’è un progetto, eredità della vecchia amministrazione, per ridargli vita; ma una querelle giudiziaria ne ha rallentato l’affidamento. Non entro in queste vicende. Preferisco restare al ricordo e al desiderio di rivedere quell’impianto restituire alla città la sua funzione. Anche per onorare la memoria di mio padre, che di quel luogo fu protagonista.

Di seguito ripropongo quell’articolo, con qualche lieve aggiornamento.

 

Dino Viggiano, prima giocatore e poi dirigente apicale del basket potentino e lucano

Per i potentini il Coni non è mai stato, in primo luogo, il comitato olimpico nazionale: era un palazzetto. Una creatura nata agli inizi degli anni ’60, in una sorta di alchimia perfetta, incastonata nel Parco di Montereale. Pineta e allenamenti, spazi verdi e palestre. Poco dopo arrivò anche la piscina comunale, a pochi passi. Tutto sembrava vivere in armonia.

In una città dove il freddo dura otto o nove mesi, lo sport indoor diventava rifugio, invenzione di nuove storie e nuove epopee. Basket, pallavolo, boxe, arti marziali, ginnastica, scherma, persino il tennis: ogni disciplina trovava spazio, entusiasmo e pubblico.


Il Palazzetto al suo interno, spesso gremito e non solo per gli eventi principali

Difficile incontrare un potentino che non ci sia passato almeno una volta. E non è nostalgia. Il motore di una comunità viva sta nei suoi contenitori: teatri, cinema, strutture sportive e culturali. Ogni luogo racconta un’epoca. Quella del palazzetto di Montereale fu la nostra. Ancora oggi, anche nella sua decadenza, tra incuria e abbandono, esso continua a riflettere l’immagine della città.

Il Coni e Montereale dicono chi eravamo, ma anche chi siamo diventati. Parabole che intrecciano aperture e chiusure, come cancelli che si spalancano o si chiudono su vittorie e fallimenti. Non è una fiaba, qui non c’è lieto fine. C’è solo la consapevolezza che i ricordi hanno senso se ci aiutano a leggere il presente. C'è un volume "La Città Svelata", edito una decina di anni fa da Universosud, per la cura di Paolo Albano, dove alcune di queste storie le ho raccontate.


Nel libro: "Era il luglio del 1972 I Nomadi furono al Dancing di Montereale, con due amici piccoli cestisti ci arrampicammo sui cespugli del Parco per assistere allo spettacolo e cantare "Io Vagabondo"


Sport e cultura sono indicatori di civiltà. La pratica sportiva è educazione alla vita, alla cura del corpo, alla lealtà. Mio padre lo sapeva bene: di sport si era nutrito, e di sport nutriva chi gli stava intorno. Non a caso fu “il custode” del palazzetto, la sua anima per oltre un decennio.

Franco Blasi non si limitava a custodire muri e chiavi: si prendeva cura delle persone che lo abitavano. Con lui uomini solidi come Michele Riviello, Toruccio Nicastro, Raffaello La Capra, Peppino Sabia, Giovanni Robilotta, Peppino Scognamiglio, Michele Frascione. Tutti credevano che i ragazzi di allora potessero essere forgiati tra quelle mura, e diventare classe dirigente, personalità forti, creative e decisive.


Il primo Centro di avviamento alla sport del Coni (1968) a Potenza
 

Sfogliando fotografie in bianco e nero (alcune sono qui pubblicate) e vecchi ritagli, due cose mi colpiscono ancora oggi. La prima: il palazzetto era sempre pieno. Bastava una partita di pulcini o di giovanissimi per radunare spettatori e curiosi. Era un modello educativo partecipato, una festa di relazioni e di entusiasmo. La seconda: l’ordine e la cura degli spazi. La dignità degli spogliatoi. L’uso di simboli come la fiaccola olimpica, il tripode, il tricolore. Segni di una cultura sportiva antica e generosa.


Una vecchia foto della squadra allievi del Basket Potenza (fine anni '60), società fondata da Michele Riviello e mio padre, Franco Blasi.


 Gli istruttori e gli allenatori segnarono quell’epoca: molti, ex atleti diventati maestri. Licio Spirito, Ninì De Angelis, Toruccio Cerverizzo, Gigino Lomagro, Nicola Bux, Ennio Galella. Poi il basket e la pallavolo con Franco Cafarelli, Michele Bosso, Roberto Lo Giudice, Lorenzo Delfino, Michele Ligrani. E mi scuso per alcuni nomi che avrò certamente dimenticato. Due mondi diversi ma complementari, nutriti da tecnici che del rigore fecero religione. La boxe, con Silvio Nocera (a cui il palazzetto è intitolato), Rocco Mazzola, Mario Bonito, Luciano Messina, affondava lì le sue radici solide.

E, naturalmente, quella palestra era anche altro: amicizie, amori, rivalità. La sfida eterna con Matera, i confronti con campani e pugliesi. Loghi sportivi impressi nella memoria: la Libertas Invicta, la Juvenilia, l’Universum, il Club Atletico, l’Asci. Un mondo femminile che si affacciava con entusiasmo e richiamava tifosi e passioni.


Una contesa di una finale dei Giochi della Gioventù, a saltare con il numero 4 è l'autore di quest'articolo  (1973)


Il ricordo porta con sé anche le sue spine. Lo sport non cancella mai il dolore: lo trasforma in energia, in memoria viva. In quella palestra hanno lasciato un segno Gigi Chiriaco, Edmondo Landi, Vito Lepore. E, accanto a loro, oggi il mio pensiero va a Dino Viggiano: forse, anzi senza forse, il più competente dirigente che il basket potentino abbia mai avuto.

E poi, le fiabe. In quella palestra passarono Bob Morse — a cui mia madre preparò un decotto, oggi si chiama tisana, per calmargli lo stomaco — e Dino Meneghin, mito assoluto della palla a spicchi. I Globetrotters con la loro pallacanestro acrobatica, gli incontri internazionali di pallavolo Italia–Francia e Italia–Jugoslavia, con la prima diretta Rai nel 1969. Il mitico Rocco Mazzola con i suoi incontri internazionali.

Intanto, al Viviani, il Potenza dei miracoli giocava e vinceva con Agroppi, Boninsegna e i Bercellino. Quando nevicava, capitava che si allenassero dentro il palazzetto: mio padre apriva i cancelli ai rosso blù, chiamava Franco Vinci o il presidentissimo Nino Ferri. Il sogno della serie A, infranto all’ultima giornata, correva parallelo allo sport che cresceva con la città, alimentando il cambiamento.

 

Oggi al Coni di Montereale i cancelli sono chiusi, il parquet divelto. Ma i ricordi no: quelli restano intatti.

Gianfranco Blasi


 

Una foto dei giovani della Juvenilia di Pallavolo. Ci ho provato ma ero scarso

 

 


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