Ucraina, tre anni di guerra: le radici, le ferite e la sfida dell’Europa


Una mappa che spiega chiaramente lo stallo nell'invasione russa all'Ucraina


Dalle rovine del conflitto alle aule del Consiglio europeo, l’Ucraina continua a difendere la propria libertà e quella dell’Europa intera.

di Gianfranco Blasi

A più di tre anni dall’invasione russa, la guerra in Ucraina resta il punto più critico dell’ordine internazionale contemporaneo. Un conflitto che non è solo una tragedia nazionale, ma una sfida diretta ai principi su cui si fonda l’Europa: la libertà dei popoli, la sovranità degli Stati, il diritto alla sicurezza. Cosicché quello che fino a qualche anno fa ci sembrava scontato oggi è messo in discussione. Per esempio, e non è banale constatarlo, la necessità di alzare selettivamente e quantitativamente il livello complessivo della nostra capacità di difesa. Mentre, sul piano politico, pesano le parole di Mario Draghi, che alza l’asticella dell’unità europea: “Serve almeno un’ Europa federale”. Cioè una architettura istituzionale diversa che permetta di fare massa critica e che consenta di avere un peso internazionale più incisivo e credibile.

Le origini di un conflitto lungo secoli

Le radici della guerra affondano nella storia. Russia e Ucraina condividono origini comuni nella Rus’ di Kiev (IX-XIII secolo), culla delle culture slave orientali e del cristianesimo ortodosso. Dopo l’invasione mongola, il baricentro politico si spostò a Mosca, che nel tempo si autoproclamò erede di quella antica tradizione, mentre i territori ucraini rimasero per secoli divisi tra potere polacco-lituano, asburgico e zarista.

Durante l’Ottocento e il Novecento, l’Ucraina sviluppò un forte senso di identità nazionale, spesso represso. L’epoca sovietica fu segnata da durissime politiche di russificazione e dalla tragedia dell’Holodomor (1932-33), la carestia indotta dalle collettivizzazioni comuniste di stampo staliniano che provocò milioni di morti e resta, per Kiev, uno dei simboli più drammatici del dominio russo, riconosciuto dalla comunità internazionale come genocidio.


La statua simbolo che ricorda l'Holodomor. Milioni di morti, centinaia di  migliaia di bambine/i. Una tragedia umanitaria indotta da Stalin che ha determinato l'allontanamento del popolo ucraino dalla Russia


Con il crollo dell’Unione Sovietica nel 1991, l’Ucraina divenne indipendente, rinunciando all’arsenale nucleare in cambio di garanzie sulla propria integrità territoriale (Memorandum di Budapest, 1994). Accordo mai rispettato fino in fondo dai russi. Da allora, il Paese ha oscillato tra l’influenza di Mosca e l’aspirazione a integrarsi con l’Europa e la NATO. Le rivoluzioni del 2004 (arancione) e del 2014 (Euromaidan) segnarono la scelta definitiva per l’Occidente, ma anche l’inizio della reazione russa: nel 2014 Mosca annesse la Crimea e alimentò la guerra nel Donbass. Una guerra tattica e regionale sottovalutata allora dall’Europa e dagli Stati Uniti. Eppure si trattava fra Crimea e Donbass dell’inizio dell’attuale conflitto poi allargatosi a disputa bellica di più ampio raggio.

L’invasione del 2022 e la resistenza ucraina

Giustappunto il 24 febbraio 2022, Vladimir Putin, “il tiranno che viene dal Kgb”,  lanciò un’invasione su larga scala dell’Ucraina, presentata come “operazione militare speciale” per “denazificare” il Paese e “proteggere le popolazioni russofone”. Dietro quella retorica, dietro le contraddizioni verbali e storiche, la volontà di riaffermare l’influenza russa e impedire ogni avvicinamento di Kiev alla NATO e all’Unione Europea.

L’attacco ha incontrato però una resistenza che ha persino sbalordito il mondo. Il popolo ucraino, sostenuto da una rete di alleanze euro-atlantiche, è riuscito fino ad oggi a fermare la caduta di Kiev e a trasformare l’aggressione in una guerra di logoramento che dura ormai da oltre mille giorni.


La straordinaria e indomita resistenza degli ucraini sta diventando epica


Le ferite della guerra

Secondo le Nazioni Unite, dal febbraio 2022 ad agosto 2025 il conflitto ha causato oltre 14.000 morti civili ucraini e più di 36.000 feriti, ma i numeri reali sarebbero molto più alti, soprattutto nelle zone occupate. Le perdite militari russe supererebbero il milione di uomini tra morti e feriti, a fronte di circa 23.000 mezzi distrutti, mentre l’Ucraina avrebbe perso oltre 10.000 veicoli militari. Facendo due conti sui dati ufficiali, sorge però un interrogativo. Nel dicembre 2023, durante la consueta conferenza stampa, il presidente Vladimir Putin affermò che in Ucraina operavano 617mila militari (chiaramente uomini appartenenti alle Forze armate di carriera, con l’aggiunta di molti dei circa 300mila “mobilizzati” del settembre 2022 e dei soldati delle compagnie di ventura come la famigerata Wagner di Prigozhin). Dopo pochi mesi si arrivò alla cifra di 700mila attivi contro Kiev. Sommando 450mila, 40mila, 210mil e 18mila si ottiene il dato di 718mila fra “kontraktniki” e Vfp in 18 mesi. Se a questi sommiamo i 617mila si arriva a un milione 335mila uomini partiti per combattere.

Il punto è: dove è finita tutta questa gente? O il Cremlino li sta nascondendo da qualche parte o realmente i bilanci delle perdite sono da apocalisse. Putin ha dato l’ordine di avanzare a qualsiasi costo. Recentemente il segretario di Stato americano Marco Rubio ha affermato che, solo nei primi sei mesi del 2025, i russi hanno avuto 100mila caduti. La conferma di cifre da paura arriva da una Ong russa, non riconosciuta dal Cremlino, che ha calcolato, nello stesso periodo, una spesa statale di 765 miliardi di rubli in più per compensare famiglie di morti e di feriti. Secondo l’Economist, dall’invasione del 24 febbraio 2022, il Cremlino avrebbe perso fra 900mila e un milione e 300mila combattenti: i morti sarebbero fra 190mila e 350mila. La Bbc è riuscita a dare un nome e un cognome a 118mila caduti analizzando gli annunci comparsi sui social media. I feriti sono stimabili in almeno 750-800mila. Alla fine dei conti comunque e sempre una catastrofe umanitaria che non trova precedenti in Europa dal dopo guerra ad oggi.


Le perdite russe in Ucraina. Un vero e proprio disastro di strategia militare


Le conseguenze umane, economiche e sociali sono immense: il costo diretto dei danni è stimato in 176 miliardi di dollari, mentre la ricostruzione potrebbe richiedere oltre 500 miliardi nei prossimi dieci anni. Più di 5,7 milioni di rifugiati hanno lasciato l’Ucraina e altri 3,8 milioni sono sfollati interni. Quasi un quarto della popolazione è stata costretta a spostarsi, mentre le infrastrutture civili – scuole, ospedali, centrali elettriche – restano bersagli quotidiani dei bombardamenti.

L’Europa e la diplomazia della resistenza

Sul piano politico e diplomatico, l’Ucraina continua a ricevere un sostegno decisivo da parte dell’Unione Europea, della NATO e dei Paesi del G7. Il Consiglio Europeo del 23 ottobre 2025 ha riaffermato “l’incrollabile impegno per la sovranità e l’integrità territoriale dell’Ucraina” e la volontà di mantenere il sostegno militare, finanziario e diplomatico “per tutto il tempo necessario”.


I leader europei, anche con sfumature diverse, non hanno mai lasciato solo il popolo ucraino


Nel frattempo, si prepara anche la fase post-bellica: l’Unione sta lavorando a garanzie di sicurezza permanenti per Kiev, con la prospettiva di un ingresso progressivo nell’UE e un coordinamento militare stabile con la NATO. In settembre, il presidente francese Emmanuel Macron ha annunciato che 26 Paesi si sono impegnati a fornire una “forza di rassicurazione” in terra, mare e aria per garantire la sicurezza ucraina dopo la fine del conflitto. L’Italia, dal canto suo, anche con l’ultimo intervento di qualche giorno fa di Giorgia Meloni in Parlamento, pur avendo sempre sostenuto Kiev militarmente ed economicamente ed aver condannato fermamente e partecipato alle sanzioni contro la Russia, non si è detta mai disponibile all’invio sul campo di propri soldati.

Sullo sfondo, gli Stati Uniti continuano a sostenere Kiev, certo, tra le incognite del dibattito politico interno. Il recente progetto di un summit Trump-Putin a Budapest ha destato preoccupazione nelle cancellerie europee: l’eventuale negoziato diretto rischia di marginalizzare l’Ucraina, ma la diplomazia europea insiste che nessuna pace potrà essere duratura se non basata sul pieno rispetto della sovranità e dell’integrità territoriale di Kiev.




La posta in gioco: il futuro dell’Europa

La guerra in Ucraina non è solo una questione regionale. Questo è evidente. È il terreno su cui si misura la capacità dell’Europa di difendere se stessa e i propri valori. Per altro la minaccia continua da parte di Putin e dei suoi adepti è talmente sfacciata ed aggressiva da non lasciare tranquilli. Ricordiamo che la Russia è la seconda potenza nucleare dopo gli Usa e prima della Cina. Non dimentichiamo infine gli attacchi cibernetici, gli hackeraggi  ai sistemi informatici e le continue violazioni degli spazi aerei europei.
La resistenza di Kiev, sostenuta dal mondo libero, ha comunque impedito fino ad ora il ritorno alla logica delle sfere d’influenza e ha riaffermato che nessun confine può essere cambiato con la forza.

Mentre l’inverno 2025 si avvicina e la guerra sembra entrare in una nuova fase, la domanda che attraversa l’Europa è semplice ma decisiva: quanto a lungo saremo disposti a sostenere chi combatte non solo per la propria libertà, ma anche per la nostra sicurezza comune?

 

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