La strana alleanza fra i vescovi italiani e il mondo femminista: “Il sesso non si cancella”

 




A proposito del Ddl Zan e dell’omotransfobia


La così detta legge sulla omofobia (Decreto Zan – Scalfarotto – Boldrini, ecc. ) punta a modificare gli articoli 604-bis e 604-ter del codice penale, in materia di violenza o discriminazione per motivi di orientamento sessuale o identità di genere. L’obiettivo dichiarato è, con la forza del diritto, quello di imporre un modello di riferimento. I modelli culturali, invece, dovrebbero essere vari e conquistarsi un proprio spazio in un libero campo di discussione. Il pensiero divergente è infatti alla base di una società democratica e plurale.

Partiamo da un punto che sgombra il campo dalle strumentalizzazioni. Come afferma papa Francesco in Amoris laetitia (n.250), “nessuna persona deve essere discriminata sulla base del proprio orientamento sessuale”. Ma, come spiegano bene i vescovi della presidenza della Cei,  con il decreto Zan c’è il rischio concreto di una maggiore confusione normativa e si fa strada la possibilità di nuove discriminazioni verso coloro che non si allineano al cosiddetto “pensiero unico”. Quindi, con l’obiettivo di porre rimedio a un’ingiustizia, si rischia di innescarne di nuove, altrettanto gravi e odiose.

Il ddl Zan pone l’accento su un presunto vuoto normativo. Indispensabile, si dice, varare una nuova normativa che, come ci spiega il quotidiano  ‘Avvenire’, “… Prevede un allargamento della cosiddetta legge Mancino (n.205 del 1993) con l’obiettivo “di estendere le sanzioni già individuate per i reati qualificati dalla discriminazione per motivi razziali, etnici, nazionali o religiosi anche alle fattispecie connesse all’omofobia e alla trans fobia”. Ma è davvero necessario? Il nostro codice già prevede sanzioni proporzionate alla gravità del reato per i delitti contro la vita (art. 575 e ss. cod. pen.), contro l’incolumità personale (art. 581 ss. cod. pen.), i delitti contro l’onore, come la diffamazione (art. 595 cod. pen.), i delitti contro la personalità individuale (art. 600 ss. cod. pen.), i delitti contro la libertà personale, come il sequestro di persona (art. 605 cod. pen.) o la violenza sessuale (art. 609 ss. cod. pen.), i delitti contro la libertà morale, come la violenza privata (art. 610 cod. pen.), la minaccia (art. 612 cod. pen.) e gli atti persecutori (art. 612-bis cod. pen.). Fino al 2016 l’ordinamento ha ritenuto illecita anche la semplice ingiuria (art. 594 cod. pen.).



Eppure la nostra Costituzione stabilisce già il divieto di discriminazione fondata su condizioni personali; e il diritto penale punisce chiunque provochi lesioni alla dignità e alla libertà dell'essere umano, a prescindere dagli orientamenti culturali. L'omotransfobia ci pone davanti ad una discriminazione al contrario: non può manifestare il suo pensiero chi considera un valore la eterosessualità affettiva. Per chi si riconosce nel diritto naturale, prima ancora che nella dottrina sociale della chiesa, si tratta di dover rinunciare ad una scelta valoriale.

Altrettanto complesso appare districare la questione legata ai contenuti di espressioni come “identità di genere” e “orientamento sessuale”. Quando si parla di discriminazioni per motivi di razza, provenienza geografica, etnia, religione siamo di fronte a concetti largamente condivisi, che non offrono la possibilità di equivocare. Sull’orientamento sessuale e, soprattutto sull’identità di genere ci troviamo a confrontarci con concetti tutt’altro che definiti in modo stabile e univoco. Quanto è opportuno allora inserire in una legge penale – che per sua natura ha necessità di riferimenti certi – concetti di cui psicologia e antropologia dibattono da decenni senza arrivare a un piattaforma concettuale definita? Il rischio è effettivamente elevato. Ci sono anche studiosi della stessa area lgbt secondo cui il triplice riferimento all’orientamento, all’identità e al ruolo non possono esaurire la complessità della sfera sessuale e, soprattutto, il suo rapporto con la realtà sociale e culturale. Possibile allora che l’obiettivo di sanzionare le discriminazioni basate su concetti variabili come identità di genere e orientamento sessuale finiscano per punire, oltre che i fatti concreti, le legittime opinioni di chi non si allinea al cosiddetto “pensiero unico”? Per essere più chiari: sostenere, per esempio, che le unioni omosessuali sono scelta ontologicamente e biologicamente diversa rispetto al matrimonio fondato sul matrimonio tra uomo e donna, potrebbe diventare opinione sanzionabile? E sottolineare che la tesi della “nessuna differenza” tra gli esiti psicologici-esistenziali mostrati dai figli che vivono all’interno di famiglie gay rispetto a quelli che vivono e crescono con i propri genitori biologici, eterosessuali, potrà diventare atto d’accusa?

La parola finale dul Ddl Zan toccherà al parlamento


Posta la giusta laicità dello Stato possiamo costruire un modello di convivenza dove ci sia posto per tutte queste posizioni. Perché una legge deve cancellare una storia, una tradizione, un impianto culturale a favore di un altro? Si può discutere  di tutto questo evitando l’odio e i pregiudizi? Capisco che la posizione dei vescovi italiani e di una parte del laicato cattolico è minoritaria nel paese. Ma avrà pure diritto una minoranza a resistere nelle proprie idee …

I sostenitori del Ddl Zan escludono derive liberticide. Speriamo che si tratti di convinzioni sincere. Purtroppo nei Paesi dove legislazioni simili a quelle che si vorrebbero adottare anche in Italia sono già vigenti, i giudici si sono mossi in modo diverso. In Spagna, il 6 febbraio 2014, il cardinale Fernando Sebastián Aguilar (morto di recente), arcivescovo emerito di Pamplona, è stato iscritto nel registro degli indagati per “omofobia” per aver rilasciato un’intervista pubblicata sul quotidiano di Malaga, “Diario Sur” il precedente 20 gennaio, nel corso della quale, sulla premessa che la sessualità è orientata alla procreazione, faceva presente che all’interno di una relazione omosessuale tale finalità era preclusa.

Ecco il testo del comunicato della presidenza Cei sul tema:

“Nulla si guadagna con la violenza e tanto si perde”, sottolinea Papa Francesco, mettendo fuorigioco ogni tipo di razzismo o di esclusione come pure ogni reazione violenta, destinata a rivelarsi a sua volta autodistruttiva. Le discriminazioni – comprese quelle basate sull’orientamento sessuale –costituiscono una violazione della dignità umana, che – in quanto tale – deve essere sempre rispettata nelle parole, nelle azioni e nelle legislazioni. Trattamenti pregiudizievoli, minacce, aggressioni, lesioni, atti di bullismo, stalking... sono altrettante forme di attentato alla sacralità della vita umana e vanno perciò contrastate senza mezzi termini. Al riguardo, un esame obiettivo delle disposizioni a tutela della persona, contenute nell’ordinamento giuridico del nostro Paese, fa concludere che esistono già adeguati presidi con cui prevenire e reprimere ogni comportamento violento o persecutorio. Questa consapevolezza ci porta a guardare con preoccupazione alle proposte di legge attualmente in corso di esame presso la Commissione Giustizia della Camera dei Deputati contro i reati di omotransfobia: anche per questi ambiti non solo non si riscontra alcun vuoto normativo, ma nemmeno lacune che giustifichino l’urgenza di nuove disposizioni. Anzi, un’eventuale introduzione di ulteriori norme incriminatrici rischierebbe di aprire a derive liberticide, per cui – più che sanzionare la discriminazione – si finirebbe col colpire l’espressione di una legittima opinione, come insegna l’esperienza degli ordinamenti di altre Nazioni al cui interno norme simili sono già state introdotte. Per esempio, sottoporre a procedimento penale chi ritiene che la famiglia esiga per essere tale un papà e una mamma – e non la duplicazione della stessa figura - significherebbe introdurre un reato di opinione. Ciò limita di fatto la libertà personale, le scelte educative, il modo di pensare e di essere, l’esercizio di critica e di dissenso. Crediamo fermamente che, oltre ad applicare in maniera oculata le disposizioni già in vigore, si debba innanzitutto promuovere l’impegno educativo nella direzione di una seria prevenzione, che contribuisca a scongiurare e contrastare ogni offesa alla persona. Su questo non servono polemiche o scomuniche reciproche, ma disponibilità a un confronto autentico e intellettualmente onesto. Nella misura in cui tale dialogo avviene nella libertà, ne trarranno beneficio tanto il rispetto della persona quanto la democraticità del Paese.”

Nel frattempo, mentre in queste ore sui social le idee sembrano poche e confuse, in un’assemblea di Montecitorio estiva e deserta i proponenti della legge sulla omotransfobia sono apparsi nella loro vera natura. Come scrive il Forum delle Famiglie “Anche il solitamente moderato Walter Verini, a cui il Partito democratico ha affidato l’intervento di sostegno alla legge, si è lanciato in una lunga ramanzina affermando che gli oppositori del Ddl Zan oggi sono gli epigoni degli oppositori negli Anni Settanta della legge sull’aborto, che secondo Verini aspiravano ieri e aspirano oggi a riportare l’Italia nel Medioevo.”

L’intervento dell’esponente del PD, come molti di quelli che si ascoltano in giro in queste ore, è stato più che arrogante, al limite dell’offesa nei confronti dei cattolici e ha reso chiaro l’obiettivo politico di questa operazione: marginalizzare la libertà d’espressione dei cattolici definiti oscurantisti e medievali.

Francesca Izzo, fra le fondatrici del movimento femminista "Se non ora quando"


Per altro il ddl in esame non piace neppure ad alcuni mondi notoriamente di sinistra come quello femminista. Francesca Izzo, storica del pensiero progressista, tra le fondatrici del movimento femminista "Se non ora quando", critica tenacemente il Ddl Zan contro la omotransfobia. "Abbiamo scritto una lettera ai firmatari delle varie proposte di legge, ora riunite in un testo unico, chiedendo loro una riflessione sulla terminologia utilizzata, che suscita ambiguità".

E alla domanda “Qual è il termine sotto accusa?”, così risponde:

"È il gender, ovvero l'espressione 'identità di genere' che è una questione molto controversa. Le donne in tutto il loro processo di liberazione e di uscita da una condizione di oppressione sociale hanno messo in discussione il genere che veniva loro assegnato e che le poneva in condizione di subalternità. Con questa espressione si sostituisce l'identità basata sul sesso con un'identità basata sul genere dichiarato. Come scriviamo nella lettera, attraverso 'l'identità di genere' la realtà dei corpi –nel nostro caso quella dei corpi femminili- viene dissolta. Il sesso non si cancella".

 

 

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