Il popolo arcobaleno: il pacifismo contro le destre e quelli che ce l'hanno duro come Putin...

 



L'Italia del valzer e l'Italia del caffè

 

“La libertà di scegliere è quella che qualifica un essere vivente come umano”. Silvio Berlusconi ha ricordato con queste parole Antonio Martino, scomparso proprio ieri all’età di 79 anni. L’ex ministro degli Esteri e della Difesa la ripeteva spesso questa frase, riflettendo sul significato di essere liberali. Antonio Martino liberale  lo era davvero e fino in fondo. Prima allievo e poi intimo amico di Milton Friedman, fu per anni Presidente della più importante associazione di economisti liberali del mondo. Ricordo che nel 1993, per la rivista EUROMONITOR, fondata  con Giampiero Perri ed altri amici, qualche mese prima di costituire anche in Basilicata Forza Italia, lo ospitammo per una lunga e critica riflessione sull’integrazione europea e sulla moneta unica. La preoccupazione di Martino era che il rapporto fra divisa monetaria e sovranità popolare potesse indebolirsi all'interno di una visione tecnocratica e centralista. Cioè che l’Euro divenisse solo uno strumento di controllo della così detta stabilità economica, in un contesto di forte austerità dei bilanci degli stati membri. Togliendo spazio alla libertà dei singoli e all’intrapresa economica dei territori. Fu’ esattamente così, almeno fino alla famosa frase di Mario Draghi, “Whatever it take”.




Qualche mese dopo, sempre nel 1993, Martino  accettò  con entusiasmo di partecipare ad una scommessa che appariva folle e sconsiderata ai più: sfidare la gioiosa macchina da guerra post-comunista per mettere in campo un movimento che desse voce in politica alle idee liberali, al popolarismo sociale e ai ceti produttivi che di tali idee erano i portatori naturali. Da allora, portò in tasca la tessera numero due di Forza Italia, della quale parlava sempre con orgoglio. Ricordo gli incontri ad Arcore e a Roma dove appariva chiaro come Lui in primis e poi, Giuliano Ferrara, Gianni Baget Bozzo, Giuliano Urbani fossero i teorici del partito – movimento fondato da Silvio Berlusconi. Con Antonio Martino se ne va  uno studioso illustre, un uomo libero. Stimatissimo in tutti i contesti internazionali e soprattutto negli Stati Uniti, dove si era formato e dove era di casa.

Questa riflessione parte dal ricordo di Martino non solo per un atto dovuto nei confronti di un uomo che ha segnato anche la mia vita politica dal 1993 in poi. Ma l’esperienza dei liberali italiani, dei popolari sociali e dei socialisti non radicalizzati, mi è speculare ad un ragionamento che in queste ore drammatiche continua a spiegare quella che definisco senza mezzi termini immaturità politica di alcuni ambienti sindacali e politici italiani. Immaturità che produce strutturali e pretestuose divisioni culturali. Non manca quell’idea radical chic di presunta superiorità intellettuale.




Ieri la Cgil, la Uil e il così detto popolo della pace hanno tenuto una manifestazione a Roma contro la guerra. C’è sempre anche nel linguaggio una linea capace di spiegare il punto di vista ideologico di questo rassemblement dei mondi arcobaleno della sinistra radicale, televisiva e salottiera  italiana. Ed è l’uso del plurale. Contro le guerre, le mafie, le destre, ecc,. ecc. Un modo per riproporre un fronte (mettiamoci tutti insieme contro qualcuno). Ma anche, un’idea per rendere il nemico un generico spazio, di volta in volta, criminale, guerrafondaio, politico. Un nemico da affondare con foga giustizialista attraverso l’uso della forca mediatica e di una sempre presente magistratura militante. Tanto per non essere troppo buoni e per usare la pace un giorno si e uno no. Insomma, una pace buona per qualcuno, ma non per tutti.

Solo che, questa volta, appunto ieri a Roma, il giochino si è subito rilevato nella sua ipocrita messa in scena. Non c’erano che poche bandiere ucraine. Molte di quelle che sventolavano erano color arcobaleno, addirittura palestinesi, e non mancavano  le solite, novecentesche, raffigurazioni del mitologico Che Guevara. Si respirava una forte neutralità rispetto all’invasione criminale di Putin.  In non poche interviste si è attaccata la Nato, attribuendole responsabilità sul precipitare della crisi. Naturalmente, il dito è stato rivolto contro gli Stati Uniti, nonostante Biden abbia sconfitto il "populista" Trump. Si è detto sì agli aiuti umanitari e no al sostegno militare all’Ucraina. Con un retro pensiero finale:  “Non sia mai che Putin ci toglie il gas. Poi dobbiamo tornare in piazza a protestare contro le estrazioni sul suolo italiano e contro i rigassifacatori… “

 Dal mio punto di vista non esiste una pace fine a se stessa. Credo che la pace sia una costruzione faticosa e che stare in pace non significhi voltare la faccia dall’altra parte, davanti ai drammi della storia e agli errori macroscopici degli uomini che uccidono altri uomini. Di ragazzi in divisa che devastano città e ammazzano donne e bambini.

 


Non meno ostile mi appare la posizione di alcuni mondi di destra, riconducibili per filo e per segno al movimento No Vax. Tutti filo Putin. Ammirati dal machismo del dittatore russo. Considerato una sorta di mito dell’antieuropeismo e dell’ antimperialismo.  L’uomo che combatte le consorterie massoniche dei poteri finanziari. Ed altre esternazioni estemporanee di questo tipo. Come per esempio quelle che nei vaccini ci sarebbero le microspie o sostanze dopanti capaci di renderci docili nei confronti di questi poteri immaginari. Dimenticando, fra l’altro cos’è l’oligarchia russa che fa detenere all’uno per cento della popolazione il novantanove per cento della ricchezza. Oligarchi arroganti, proprietari di ville e tenute in Toscana, case a New York, Londra e Parigi, ville in Costa Smeralda e yatch da cinquanta milioni di euro.



 

Ecco allora che in questi giorni il volto orrendo della guerra sembra ignorato da chi fa prevalere sulla cruda evidenza dei fatti il giudizio comprensivo – quando non assolutorio – sulle ragioni di Putin nello sferrare l’attacco enumerando i torti dell’Occidente che avrebbero indotto il presidente russo a disporre l’attacco militare. A questo si aggiunge la dettagliata lista delle malefatte europee e americane sui diversi scenari di crisi del pianeta, presenti e passati, dai Balcani alla Siria, dall’Afghanistan alla Libia, tutti errori (e orrori) sui quali i media avrebbero sorvolato mentre con l’invasione russa starebbero esagerando. Colpisce però soprattutto constatare che le voci sulle reti social a supporto delle 'buone ragioni' dell’attacco russo spesso sono le medesime che per mesi hanno militato attivamente contro vaccini e Green pass con una rumorosità tale da far credere che fossero una componente rilevante della popolazione italiana. Ora nelle discussioni digitali i 'No Vax' sembrano aver preso le parti di Putin con uno zelo che li rende impermeabili ai fatti tanto quanto lo erano all’evidenza dei numeri su contagi e morti, certi com’erano che fossero manipolati.


Viene in mente la canzone di Francesco De Gregori su quest’Italia divisa, spesso debole nella sua capacità di ritrovarsi e di convogliare le sue energie migliori. Un’Italia che non muore e che resiste, recita, alla fine, il cantautore romano. Speriamo che sia così e che l’Italia del valzer e del caffè si possa finalmente ricongiungere. 




Il modello a cui voglio testardamente ispirarmi è quello di Antonio Martino che esalta l’idealismo liberale e democratico. Che crede in un’Europa dei popoli e delle Nazioni, che insieme può ultimare un percorso di integrazione dentro valori storici e culturali consolidati. Abbiamo bisogno di credere in una visione occidentale di reciproca mutualità, fondata sul rispetto, ma anche sulla difesa della nostra integrità e sovranità. La reciproca convivenza deve fondarsi sulla pace e non certo sulla prevaricazione. In ogni parte del mondo. Se siamo chiamati ad essere modello non possiamo sottrarci, in queste ore, dal sostenere il popolo ucraino nel suo impegno disperato a voler condividere il nostro modello di vita, i nostri riferimenti alle libere e democratiche istituzioni, a costituzioni fondate sulla difesa della pace, della democrazia e della libertà di scelta.

Commenti

Post popolari in questo blog

“Come faccio io a non piangere”

Diciamo le cose come stanno: il ddl Zan è fascista

Le tre caratteristiche letterarie del nuovo libro di Patrizia Bianco. Un romanzo di genere, poi storico, soprattutto psicologico