La
politica come destino per lo statista padre della nostra repubblica
Il
14 dicembre 1925
Alcide De Gasperi si dimette da segretario del Partito Popolare.
Il suo nome, Alcide, deriva dal greco Alkeides,
epiteto di Eracle (Ercole), che rimanda a forza, coraggio e protezione. Curioso
notare che anche Palmiro Togliatti, durante la clandestinità sotto il fascismo,
scelse proprio “Ercole Ercoli” come pseudonimo: due figure diversissime per
idee e finalità, ma entrambe decisive nella costruzione della democrazia
italiana.
Il
libro di Mario
José Cereghino e Giovanni Fasanella, La maledizione italiana (Fuori Scena, RCS, 2025),
mette bene in luce come questi due “Ercole” abbiano agito da protagonisti, tra
il 1943 e il 1948, nel difficile percorso che portò alla nascita della
Repubblica.
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Giovanni Fasanella, coautore de "La maledizione italiana" |
Ma per capire De Gasperi bisogna tornare indietro. Nel 1926 si dimette anche da direttore de Il Nuovo Trentino, la cui sede e tipografia erano state devastate dai fascisti. L’anno dopo viene condannato a due anni e mezzo di carcere e a 20.000 lire di multa, pena che sconterà solo in parte. Pio XI gli offrirà rifugio alla Biblioteca Vaticana, dove condividerà la sorte di altri esuli e di famiglie ebree in fuga dalle persecuzioni. Lì, nella quotidianità fatta di preghiera e riflessione, matura la convinzione che “tutte le grandi opere nascono dal deserto”. Scrive anche: “Dio vuole la mia umiliazione, ma quando mi sento sconfitto la sua mano si stende su di me e mi risollevo.”
La
sua famiglia è il suo sostegno: quattro figli, tra cui Paola, futura suora, e
Maria Romana, consigliera appassionata.
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De Gasperi con la figlia Maria Romana |
Nato
a Pieve Tesino
nel 1881, De Gasperi emergerà alla fine della guerra
come fondatore della Democrazia
Cristiana, guidando l’Italia dal 1945 al 1953 in otto governi
di coalizione. Trento, la sua terra, resta la radice identitaria: la città che
nel 1896 celebra Dante con una statua, e dove, pochi anni dopo, si intrecciano
le strade di Cesare Battisti, di un giovane Mussolini e dello stesso De
Gasperi. Tutti, seppur in modi opposti, si rifanno alla lezione di Dante,
simbolo di un’Italia unita nella lingua e nello spirito.
Mussolini
non tarderà a scagliarsi contro il cattolico trentino: i suoi articoli, spesso
feroci e personali, miravano a screditarlo. De Gasperi rispondeva con la sua
abituale fermezza gentile, senza mai cedere al livore. Il futuro duce,
socialista e repubblicano, fiutava già in lui un avversario insidioso, capace
di incarnare un’alternativa morale e politica.
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Un giovane Mussolini a Trento: repubblicano, socialista e già spregiudicato |
Con la caduta del fascismo, nel 1946, la DC di De Gasperi ottiene il 35,2% dei voti, poco distante dal fronte unito di socialisti e comunisti. Psiup e Pci sommando i voti sono al 40 per cento. Nella Costituente lascia maggiore spazio a figure come Dossetti e La Pira, più propensi al dialogo con le sinistre. Ma il suo pragmatismo emerge quando, il 13 luglio 1946, presenta il primo governo della Repubblica: 8 ministri democristiani, 4 comunisti, 4 socialisti, 2 repubblicani e 1 indipendente. Un equilibrio fragile, che si spezzerà dopo il suo viaggio negli Stati Uniti (1947) e soprattutto con le elezioni del 1948. Quel viaggio, inizialmente percepito come velleitario, siglò invece un patto fondamentale: l’ancoraggio dell’Italia agli Stati Uniti e al blocco occidentale.
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De Gasperi con il presidente americano Truman |
Cereghino
e Fasanella documentano con precisione i rapporti tra De Gasperi e gli inglesi,
le ingerenze britanniche – in particolare di Churchill – e la scelta cruciale
di rivolgersi agli americani, influenzata anche da don Sturzo, contro le
resistenze di Pio XII, più favorevole alla monarchia e a Londra. Dal libro
emerge così un quadro più ampio: il declino dell’impero britannico, la nascita
della NATO e dell’Europa unita, la lotta per il controllo delle risorse
energetiche, la ridefinizione delle sfere d’influenza nella Guerra fredda.
Da
lettore “crociano”, che considera la storia come maestra del presente, vorrei
condividere tre riflessioni che il libro sollecita:
1.
La scelta americana. De Gasperi,
cresciuto tra i fuochi contrapposti di Trento, poteva orientarsi diversamente,
magari legandosi agli inglesi, come auspicava Pio XII. Ma scelse l’America,
segretamente votò per la Repubblica (come ha rivelato la figlia Maria Romana) e
decise di rompere l’abbraccio con le sinistre italiane. Diffidava del PCI
filo-sovietico, e vedeva nel patto atlantico la garanzia di stabilità e
progresso per l’Italia.
2.
Il tramonto inglese. Churchill e i
laburisti guardavano all’Italia come a un paese satellite, incapaci di
riconoscere la forza che la Resistenza e l’antifascismo avevano generato in
cattolici, socialisti, liberali e comunisti. L’Inghilterra offriva
paternalismo, gli Stati Uniti proponevano un modello nuovo: democrazia,
libertà, diritti civili, persino un immaginario culturale fondato sul cinema e
la letteratura. Oggi ci si può chiedere se quell’America esista ancora o se
stia vivendo un declino simile a quello britannico degli anni Cinquanta.
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Churchill, il nemico di De Gasperi |
3.
Il veleno della politica. I servizi
segreti, le macchine del fango, i depistaggi non risparmiarono De Gasperi. La
vicenda Piccioni (1953), con le accuse infamanti al figlio del suo delfino
Attilio, lo colpì duramente. Non meno insidiose le false lettere pubblicate da Il Candido di
Guareschi o gli attacchi dell’Unità,
organo del PCI finanziato da Mosca. Quella stagione di menzogne e scandali aprì
la strada a una politica avvelenata: dalle stragi agli anni di piombo, dalla P2
alle guerre tra magistratura e politica, fino ai processi ad Andreotti, Craxi e
Berlusconi. Una lunga scia in cui potere, interessi esteri e macchinazioni
occulte hanno segnato la democrazia italiana.
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L'Ambasciata inglese di Porta Pia a Roma |
In
questo intreccio di biografia personale e vicende geopolitiche, la figura di De
Gasperi emerge non solo come padre della Repubblica, ma come simbolo di una
scelta di civiltà: tra Oriente e Occidente, tra vecchi imperi e nuovi
equilibri, tra compromessi necessari e principi irrinunciabili.
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De Gasperi con il presidente Segni e un giovanissimo Emilio Colombo |
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