Le incognite nel centrodestra e
l’ombra futura del Quirinale
Numeri alti ma fermi, giochi aperti: la sfida di Meloni tra governo e Colle
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Acquaroli è stato riconfermato presidente delle Marche. La foto è ripresa da un post su X della Meloni che manifesta la sua totale soddisfazione |
di Gianfranco Blasi
Come dimostra
anche il voto nelle Marche, che era considerata l’unica Regione, ad appannaggio del centro destra, contendibile da
parte delle sinistre e del così detto campo largo, la maggioranza appare
solida al governo, ma non tanto salda da essere definitiva nei numeri. La somma
dei voti di Fratelli d’Italia (30%), Lega (9), Forza Italia (8) e Noi Moderati
(1) non supera il 50%. Da tempo le rilevazioni mostrano un andamento costante:
i consensi non aumentano, ma si distribuiscono diversamente tra i partiti. È il
segno di un elettorato fedele, ma non espansivo. Interessante la distribuzione dei voti in Val d'Aosta, dove vincono gli autonomisti, ma dove i tre partiti di centro destra si dividono l'elettorato come fra vasi comunicanti senza un aumento complessivo del consenso.
Per Giorgia
Meloni il dato ha due implicazioni. La prima è interna: nei collegi uninominali
dovrà garantire spazi agli alleati per mantenere l’equilibrio nella coalizione.
La seconda è strategica: il consenso personale non basta se la somma
complessiva resta bloccata. Dunque nonostante una legge elettorale ibrida che
non favorisce rovesciamenti di fronte, la nostra premier ha qualche piccolo
motivo di preoccupazione per i prossimi mesi.
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I leader del così detto "Campo Largo". Bisognerà aggiungere forse Renzi ma non Calenda |
Sul fronte
opposto, il cosiddetto “campo largo” vive una situazione altrettanto fluida. Se
Pd (22%), M5S (13), Avs (7) e l’area riformista di Renzi e Più Europa (4)
riuscissero davvero a unirsi, la quota arriverebbe più o meno al 46%. Poco
sotto, quindi, ma con un margine ridotto di miglioramento. La vera variabile è
Carlo Calenda: i suoi 3 punti, sommati all’astensione crescente, potrebbero
pesare più di quanto sembri. Ed è proprio qui che si colloca il margine di
manovra della premier.
Tre le opzioni
più concrete.
1.
Puntare sul
consenso diretto: rafforzare la sua immagine e rendere più selettivi
gli interventi del governo: intervenire sul fisco e sul ceto medio, portare a
termine la riforma della giustizia. Obiettivi politicamente efficaci, ma
condizionati, per la parte fiscale, dai limiti di bilancio.
2.
Modificare la
legge elettorale e, se possibile, ruolo e funzione del Presidente della
Repubblica: Pericoloso muovere la macchina elettorale e gli
equilibri istituzionali, anche se il
ritorno alle preferenze favorirebbe sia
il suo partito che Lega e Forza Italia, penalizzando M5S e Avs, privi di
radicamento. È una riforma complessa, ma in discussione. Come pure è aperto il
cantiere di un aggiustamento dei poteri fra Chigi e Quirinale, dando più corda
alle funzioni del Presidente della Repubblica.
3.
Aprire al
centro liberal-moderato: costruire un
asse con Calenda, accanto a Forza Italia e Noi Moderati. In prospettiva, un
blocco intorno al 15% che renderebbe più equilibrata la coalizione e ne
rafforzerebbe la collocazione europea. Questa opzione potrebbe non piacere a
Salvini che dovrebbe fare buon viso a cattiva sorte. Ma servirebbe a vincere le elezioni senza patemi. E poi
la Lega lavora di territori e popolo sovrano. Punta cioè ad un elettorato più
di
destra.
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Non è da escludere che Calenda porti il suo simbolo nel centro - destra |
Detto che tutte
e tre queste strade sono percorribili, anche contemporaneamente, se pure con le
difficoltà tipiche della politica italiana fatta di veti, sgambetti, franchi
tiratori e più veleni del necessario, resta il dato oggettivo che la vera
partita non si gioca solo sulle politiche. Si gioca sul Quirinale. Da quello
che sappiamo Meloni guarda già oltre: consolidare il governo, vincere le
elezioni, iniziare un secondo mandato e poi non scartare a priori l’idea di candidarsi alla Presidenza della Repubblica.
L’ipotesi di una prima donna al Colle ha un valore simbolico e politico enorme.
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Chi succederà a Mattarella? |
Certo, la
situazione internazionale apre a variabili oggi del tutto imprevedibili.
Bisognerà navigare a vista fra molte turbolenze e buone visioni. Ma in questo
la Meloni si è già dimostrata pragmatica quanto basta, una conservatrice salda
nel suo atlantismo, fedele ai valori, alle istituzioni di Bruxelles e alle
nuove opportunità europee.
E la sinistra?
Agita le piazze con Schlein, Conte, Verdi e Fratoianni e naturalmente Landini,
ma resta meno incisiva sul terreno elettorale e su quello programmatico di
governo. Anzi, la radicalizzazione dello scontro allontana soprattutto il Pd
dal voto riformista e moderato. Renzi considera un affronto personale la legge "ad personam" e liberticida voluta dal centro destra che gli impedisce di tenere conferenze retribuite all'estero, ma sa anche che il suo piccolo bacino elettorale non è a suo agio con la sinistra estrema. Il fiorentino pensa alla sindaca di Genova Silvia Salis per una candidatura a premier che sparigli le carte a sinistra. Dove il rapporto con Calenda è ancora più teso, il rischio di
frammentazione elevato. Se il centrodestra dovesse mantenere la maggioranza
relativa, la strada per il Quirinale si aprirebbe per la prima volta ad un
esponente del centro destra e a Giorgia Meloni, in particolare.
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Silvia Salis, sindaco di Genova. Matteo Renzi pensa a lei come candidata a Palazzo Chigi di una possibile area riformista |
Con un paradosso finale: anche a sinistra, qualcuno potrebbe vedere con favore il suo eventuale arrivo al Colle. Per il Pd, significherebbe liberare Palazzo Chigi e forse riaprire il gioco politico. La vera incognita, insomma, non è solo chi vincerà le prossime politiche, ma chi guiderà le danze per l’elezione del Capo dello Stato.
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Il Quirinale, il luogo più ambito della politica italiana |
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