Occidente, la crisi di
un’identità
Tra
divisioni interne e modelli autoritari in ascesa, l’Occidente appare smarrito,
fragile, incerto sui propri valori
di Gianfranco Blasi
A più di
trent’anni dalla caduta del Muro di Berlino, l’Occidente non gode di buona
salute. Torno ancora su questo argomento che
resterà centrale nei prossimi anni. Si tratta di un dibattito vero a cui sarà
bene non sfuggire. In buona salute l'Occidente non lo è più sul piano geopolitico, non lo è
più sul piano culturale, e non lo è più, soprattutto, nella percezione di sé.
Allora sembrava aprirsi davanti una prateria: la vittoria della democrazia
liberale, la “fine della storia”, la promessa di un ordine mondiale guidato da
valori universali. Oggi, invece, l’Occidente appare fragile, incerto, diviso.
Non amato fuori dai propri confini, ma neppure amato da se stesso.
Certo, il nostro
mondo, che vive di democrazia compiuta, conosciuto come la culla dei diritti,
delle libertà e dell’umanesimo, ha tutto il diritto ad interrogarsi, a voler scrutare
i propri difetti. Ma c’è un limite, che è quello dell’auto denigrazione, della
perdita di fiducia nel futuro e stima nei propri valori fondanti.
La crisi di un’identità
Non è un caso
se riemerge ciclicamente il nome di Oswald Spengler, che un secolo fa parlava
del “tramonto” dell’Occidente. O se ci si ritrova a rievocare illusioni
recenti: la storia finita, la “civiltà superiore”, il mito dell’export della
democrazia. Argomenti che ritornano come mode, ma che si infrangono contro la
realtà. Già Alexis de Tocqueville, nell’800, aveva messo in guardia sul fatto
che la democrazia non vive di inerzia ma richiede continuamente “virtù civica”
e senso della comunità, pena il rischio di scivolare in un conformismo molle o
in un dispotismo silenzioso. E più tardi, come ricordava il poeta e filosofo
francese Paul Valéry dopo la Grande Guerra, “le nostre civiltà sanno ora di
essere mortali”. Segnali che la crisi non è improvvisa, ma stratificata nella
memoria stessa dell’Occidente.
Stati Uniti ed Europa, due debolezze parallele
La prima
potenza occidentale, gli Stati Uniti, hanno spostato il proprio orizzonte
strategico verso l’Indo-Pacifico, lasciando l’Atlantico e l’Europa sempre più
in secondo piano. L’Unione Europea, dal canto suo, appare troppo divisa e
fragile per assumere davvero il ruolo di seconda potenza occidentale. Così, le
grandi crisi del nostro tempo – Ucraina e Medio Oriente – restano senza una
risposta convincente e senza una guida riconosciuta. Kiev guarda a Occidente per
entrarvi, mentre Israele sembra allontanarsene, passo dopo passo, fino a
smarrire la propria collocazione storica.
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Cina, Russia e gli altri stati che crescono senza democrazia |
Il vento dell’autoritarismo
Ma il vero
terreno di scontro va oltre le guerre e le diplomazie. È la competizione tra
modelli: da un lato l’ordine liberaldemocratico che l’Occidente continua a
rappresentare, sia pure con difetti evidenti; dall’altro le forme di potere
autoritario, più assertive, che governano solidamente altrove e che, sempre più
spesso, trovano proseliti anche all’interno delle nostre società. Non si tratta
più di esportare la democrazia, come si pensava ieri, ma di difenderla dalle
infiltrazioni di modelli politici che promettono ordine, sicurezza e identità,
facendosi largo nelle pieghe delle nostre incertezze. Come scriveva Raymond
Aron, “la storia non garantisce nulla: i regimi liberi possono morire, le
società aperte possono richiudersi”.
Un mondo capovolto
In pochissimi
anni, l’immagine dell’Occidente si è rovesciata. Da presunto imperialista,
appare oggi esitante, titubante, quasi imbarazzato rispetto ai propri stessi
valori. Quegli stessi valori che, fino a ieri, pretendeva di offrire in dono al
resto del mondo. Ora, invece, nelle piazze occidentali monta una protesta che
non è più rivolta solo contro governi o decisioni specifiche, ma contro
un’intera visione di sé, contro un’identità che sembra sfilacciarsi. Hannah
Arendt ricordava che la crisi diventa pericolosa quando non produce nuove
risposte, ma solo rassegnazione.
La prova muscolare della Cina comunista
Un’urgenza politica e culturale
A questo punto
la domanda non è più se la democrazia liberale debba essere esportata, ma se
abbia ancora forza e credibilità all’interno delle società che l’hanno
generata. È ancora un’idea vitale, o è diventata solo il bersaglio delle nostre
inquietudini e dei nostri sensi di colpa? Già Antonio Gramsci, in un tempo non
meno drammatico, annotava nei Quaderni del carcere: “Il vecchio muore e
il nuovo non può nascere: in questo interregno si verificano i fenomeni morbosi
più svariati”. Si sviluppano i germi di una nuova inquietudine.
Da questi interrogativi dipende il futuro dell’Occidente. Non basteranno
risposte sbrigative, né compiacenti, né paternalistiche. Servono risposte
meditate, capaci di andare al fondo della questione: chi siamo, cosa vogliamo
rappresentare, quale posto intendiamo occupare in un mondo che non aspetta.
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