Il no che frena il Sud: la Corte dei Conti blocca (per ora) il Ponte sullo Stretto




Le sinistre italiane contro lo sviluppo del Mezzogiorno. Non di sola assistenza deve vivere il Sud

di Gianfranco Blasi

Sono stato per quasi un decennio, fra il 2000 e il 2008, responsabile del Dipartimento Mezzogiorno di Forza Italia. In quegli anni mi battevo per una vera politica di sviluppo del Sud, difendendo i governi Berlusconi dalle accuse — ricorrenti a sinistra — di essere “sbilanciati sul Nord”.
Si evocavano i “grandi padri del meridionalismo”, si facevano conti e paragoni fra risorse assegnate e risorse “risalite” verso il Centro-Nord. Ogni volta bisognava spiegare, correggere, difendere.

Oggi resto basito nel vedere gli stessi ambienti politici esultare per la decisione della Corte dei Conti di bloccare, almeno temporaneamente, il Ponte sullo Stretto di Messina.

Un colpo al cuore dello sviluppo

La Corte non ha concesso il visto di legittimità alla delibera Cipess sull’opera. Una scelta che, in qualsiasi Paese con ambizioni di crescita, provocherebbe sconcerto.
Il risultato è chiaro: niente pubblicazione in Gazzetta Ufficiale, niente avvio dei cantieri. Tutto fermo.




Eppure parliamo di un investimento da 13,5 miliardi di euro — pubblici e privati — capace di cambiare il destino del Mezzogiorno.
Le analisi tecniche parlano di un impatto complessivo sul PIL di 23,1 miliardi di euro, 36.700 posti di lavoro stabili, fino a 120.000 unità di lavoro equivalenti considerando gli effetti indiretti.
I ricavi previsti oscillano tra 535 e 800 milioni di euro annui, con un gettito fiscale stimato in oltre 10 miliardi. Numeri che dovrebbero entusiasmare chiunque abbia a cuore il futuro dell’Italia, non solo del Sud.

Le ragioni del “no”

Le motivazioni del diniego — che saranno rese note entro trenta giorni — toccano profili tecnici: coperture finanziarie, stime di traffico, conformità alle norme europee, procedure di gara e altre considerazioni fra il tecnico e il burocratico.
Tutto legittimo. Ma il problema è un altro: quando il controllo si trasforma in paralisi, si rischia di bloccare il futuro di un intero territorio.

Verificare è doveroso; impedire senza alternative, no. Con 13,5 miliardi fermi, restano sospesi cantieri, investimenti e opportunità per migliaia di imprese e lavoratori.
Il governo e il parlamento devono poter correggere rapidamente i rilievi tecnici e procedere. Perché la crescita non può essere ostaggio di cavilli amministrativi.

Una questione geopolitica

Il Ponte sullo Stretto non è solo un’infrastruttura: è una scelta strategica.
Rappresenta la porta italiana sul Mediterraneo, il collegamento tra l’Europa e l’Africa, il corridoio Scandinavo Mediterraneo (Scan – Med), le interconnessioni con l’Alta Velocità, i porti, i nodi intermodali, le reti stradali e le autostrade, insomma  un tassello chiave per le nuove rotte commerciali.
Bloccare tutto significa rinunciare a un ruolo di primo piano per il Paese e consegnare spazi di influenza ad altri attori del bacino mediterraneo.


Le interconnessioni europee


Non di sola assistenza vive il Sud

La Corte dei Conti ha il diritto — e il dovere — di chiedere chiarezza. Ma l’Italia ha il dovere di decidere.
Il Mezzogiorno non può vivere solo di sussidi, incentivi e retorica. Ha bisogno di infrastrutture, lavoro e visione.

Chi oggi esulta per l’ennesimo stop dovrebbe ricordare lo spirito autentico del meridionalismo: quello che chiedeva libertà, non assistenza; responsabilità, non alibi.
È tempo che le sinistre tornino a guardare al Sud come parte vitale della nazione, non come serbatoio elettorale o territorio da tenere in attesa.

Serve uno scatto di generosità e di coraggio politico.
Correggere ciò che serve, sì. Ma poi partire, e farlo presto. Perché il Ponte sullo Stretto non è solo un’infrastruttura: è la metafora di un’Italia che può, finalmente, ricucirsi.




 

I numeri del Ponte sullo Stretto

Voce

          Valore stimato

Investimento complessivo

             ~13,5 miliardi di euro

Impatto diretto sul PIL

             ~23,1 miliardi di euro

Posti di lavoro stabili

             ~36.700

Effetti occupazionali indiretti/indotti

              fino a 120.000 ULA

Ricavi annui attesi

              535–800 milioni di euro

Gettito fiscale complessivo

             ~10,3 miliardi di euro

 

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