La lezione tradita: quando la libertà d’insegnare
diventa un rischio
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Samuel Paty, ucciso dalla furia del radicalismo islamico |
Samuel Paty è stato ucciso cinque anni fa davanti la
sua scuola media in Francia per aver mostrato in classe le vignette di Charlie
Hebdo. Ma il suo assassinio rivela una ferita più profonda: la fragilità dei
nostri valori, la resa della scuola e la deriva della comunicazione pubblica.
di Gianfranco Blasi
Il 16 ottobre
2020, nei pressi del liceo Collège du Bois‑d’Aulne a Conflans-Sainte-Honorine,
alle porte di Parigi, l’insegnante di storia e geografia Samuel Paty viene
aggredito da un giovane 18enne di origine cecena, Abdoullakh Anzorov,
radicalizzato. Lo segue all’uscita della scuola, lo accoltella più volte, lo
decapita e pubblica la foto del corpo su Twitter. Poco dopo l’attentatore viene
ucciso dalla polizia. Il motivo? In una lezione sui diritti e sulla libertà
d’espressione, Paty aveva mostrato le vignette di Charlie Hebdo raffiguranti il
profeta Maometto: alcuni genitori e commentatori hanno interpretato il gesto
come un’offesa, è partita una campagna mediatica di denigrazione contro
l’insegnante, i social network hanno amplificato false accuse e minacce — ed è
scaturita l’azione letale.
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Emanuel Macron gli ha concesso la Legione d'Onore postuma |
La nostra cultura in crisi
Il caso Paty
non è solo un episodio tragico e isolato. È uno specchio che riflette le crepe
profonde nella nostra cultura occidentale: la fragilità del linguaggio
pubblico, l’indebolimento dell’autorità educativa, la confusione tra libertà,
verità e opinione.
- Prima crepa: la comunicazione. Quel che
accade è che la menzogna — “sono state dette cose senza senso” come ha
ricordato la sorella di Paty — diventa virale, diventa atto preparatorio
di violenza. I social network non
sono la causa originaria, ma amplificano l’effetto: rendono soggettiva e
liquida la verità, cancellano la responsabilità e favoriscono la
radicalizzazione della parola.
- Seconda crepa: l’educazione. Un insegnante
— che dovrebbe essere la guida della ragione, dell’analisi critica, della
coesione culturale — viene ridotto a bersaglio. Il modello educativo occidentale,
che faceva della libertà di pensiero uno dei suoi pilastri, appare oggi
vulnerabile. La lezione di Paty “per far riflettere gli studenti affinché
diventassero cittadini consapevoli” era questo. Il suo impegno oggi appare
più un’eccezione che la norma.
- Terza crepa: i valori della civiltà europea:
laicità, libertà, democrazia, dignità della persona. Questi principi, che
spesso rendiamo scontati, sono divenuti terreno di contesa. Un docente che
spiega libero e critico pensiero viene assassinato. Una società che
credeva di aver integrato la diversità scopre che la convivenza può
sgretolarsi al primo salto della rete.
Non è solo la
Francia ad essere messa davanti allo specchio. Anche noi, in Italia e nel resto
d’ Europa, dobbiamo chiedere: In che stato siamo?
- Siamo ancora capaci di difendere il diritto di un
insegnante a provocare il pensiero, anche quando questo può turbare?
- Siamo ancora in grado di educare alla
responsabilità delle parole che scriviamo, dei “click” che diffondiamo,
delle verità che scegliamo di credere?
- Siamo ancora convinti che il sapere, la ragione, il dubbio siano strumenti fondamentali per la libertà — o lasciamo che l’informazione diventi spettacolo, che l’indignazione diventi risposta automatica, che l’odio sia rigurgito senza filtro?
Intanto e
finalmente in Francia gli è stata dedicata una scuola, mentre la sorella ha scritto un libro che è un memoriale: “Samuel Paty un procès pour l’avenire”, un libro pensato per “l’après”, per
quello che verrà, per trasmettere alle nuove generazioni gli insegnamenti di un
professore di storia e geografia, assassinato cinque anni fa per aver mostrato
in classe le vignette di Charlie Hebdo su Maometto. Gaelle Paty ha
lavorato assieme alla politologa Valèrie Igounet e al vignettista Guy La Besnerais.
Un libro che aiuta a ragionare su un cataclisma sociale, politico, umano e
istituzionale, con uno sguardo al futuro. E’ anche un libro
sull’islamismo e l’indottrinamento, la libertà di espressione e l’insegnamento,
la blasfemia e la menzogna, la laicità e la democrazia.
Il processo per
la morte di Samuel Paty ha accertato responsabilità precise — otto condanne tra
i 3 e i 16 anni per chi ha concorso all’omicidio, per chi ha lanciato la
campagna d’odio digitale, per chi ha usato la menzogna come arma per uccidere. Ma
la condanna penale non basta a restituire la cultura e la libertà necessaria
a poter restare coerenti con la propria
storia. Non basta a chiudere le ferite profonde che ci stanno dividendo.
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Una pagina del libro illustrato scritto dalla sorella Gaelle per tenere viva la memoria del fratello |
- Ripristinare l’autorità della scuola: Non come autoritarismo, ma come spazio sicuro
del sapere, del dubbio, del confronto. Dove un insegnante può insegnare la
libertà senza essere minacciato, dove gli studenti non devono temere la
rapida mobilitazione dell’odio sociale.
- Rivendicare un linguaggio pubblico fondato sulla
verità e sulla responsabilità: Non
basta dire “ognuno ha diritto alla sua opinione”; serve essere in grado di
distinguere tra opinione informata e menzogna deliberata, tra provocazione
costruttiva e incitamento all’odio. Il principio della democrazia non è
che tutto sia permesso, ma che ciò che sia lecito sia dialogabile.
Il caso Paty ci
ricorda che il silenzio è già una sconfitta culturale. Che l’educazione non è
un valore accessorio, ma la base su cui poggia la democrazia. Che la comunicazione
non è solo un mezzo tecnologico, ma un banco di prova della verità. Se non
agiamo — se non riconosciamo che dietro l’assassinio di un insegnante c’è la
dissoluzione di un patto culturale — rischiamo di perdere ciò che rende
l’Europa una civiltà e non solo un insieme di consumatori.
La domanda, oggi, non è se abbiamo perso un insegnante, ma se stiamo perdendo
noi stessi.
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La sorella di Samuel, Gaelle |
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