L’Europa e la guerra: tra impreparazione, illusioni e necessità


Putin. I russi sono convinti che l'Europa non sia
 pronta alla guerra

Senza una vera politica comune di difesa, l’Europa resta vulnerabile: tra pacifismo di facciata e timori di riarmo, il continente rischia di scoprire troppo tardi che la pace, per essere credibile, va protetta anche con la forza della deterrenza

di Gianfranco Blasi

Che l’Europa non sia pronta alla guerra è verissimo. Hanno ragione i consiglieri di Putin: il Vecchio Continente non è strutturalmente, psicologicamente e industrialmente pronto a uno scenario bellico su larga scala. Anche se, va detto, le sfumature in questa constatazione sono molte. C’è chi nel nostro Paese non considera la guerra un’opzione possibile; chi la esclude (giustamente) per paura o per convinzione morale; chi è distratto dalla propria vita privata. E c’è chi, pur non volendola, pensa che per difendersi sarebbe necessario avere un esercito selettivo, ben armato e tecnologicamente avanzato.

A “Radio anch’io”, la striscia quotidiana di approfondimento di Radio Uno, molti radioascoltatori osservavano che sarebbe meglio per l’Italia adottare una posizione neutrale “come la Svizzera”. Dimenticando, però, che il nostro Paese è inserito in contesti internazionali ben precisi: il Patto Atlantico e l’Unione Europea.
Il primo, autorizzato dal Parlamento nel 1949, si fonda sull’articolo 11 della Costituzione, che consente limitazioni di sovranità per fini di pace e giustizia tra le Nazioni. L’adesione dell’Italia alla NATO, sancita dal Trattato del Nord Atlantico firmato a Washington il 4 aprile 1949, non è un’opzione revocabile a piacimento. Il secondo pilastro, l’Unione Europea, è regolato dall’articolo 49 del Trattato sull’Unione europea, anch’esso in coerenza con l’art. 11 della Costituzione.


Carri armati svizzeri in esercitazione


Quanto alla Svizzera, spesso evocata come modello di neutralità, vale la pena ricordare che si tratta di uno dei Paesi più armati al mondo. Secondo l’ultimo rapporto Global Firepower 2025, la Confederazione elvetica occupa il 32° posto per potenza militare, mentre in termini di armi detenute dai civili si colloca stabilmente ai primi posti del mondo. Questo significa che anche per essere neutrali bisogna disporre di una deterrenza credibile. Come ha osservato il politologo Ian Bremmer, “la neutralità è una posizione costosa: richiede risorse, disciplina e capacità di difendersi da soli”.

Venendo al dibattito interno sull’ipotesi di un riarmo europeo, va detto che l’opinione pubblica italiana resta in larga parte contraria. Secondo un sondaggio Ipsos del settembre 2025, solo il 28% degli italiani sarebbe favorevole ad aumentare la spesa militare, contro il 59% che preferirebbe destinare le risorse a sanità, scuola e ambiente. Tuttavia, il contesto internazionale impone riflessioni più ampie, un ragionamento meno emotivo e più realistico.


La Germania si sta riarmando pesantemente


In Germania, dopo l’invasione russa dell’Ucraina, il cancelliere Olaf Scholz ha parlato di una “Zeitenwende” — una svolta epocale — annunciando un fondo speciale da 100 miliardi di euro per la difesa e l’obiettivo del 2% del PIL per la spesa militare, in linea con gli impegni NATO. Berlino ha così assunto la leadership nel gruppo dei Paesi del Nord Europa favorevoli a un rafforzamento delle capacità difensive continentali.

L’Europa, al momento, non può avere un esercito unico — non è previsto dai trattati — ma può siglare patti di cooperazione e mutuo sostegno. È la logica che guida la “European Defence Union” e le missioni PESCO (Permanent Structured Cooperation), nate per coordinare armamenti, logistica e strategie comuni. In altre parole: ogni Stato deve compiere scelte nazionali, ma all’interno di un quadro atlantico e comunitario condiviso.

Resta il nodo economico. Paesi come l’Italia e la Francia, vincolati da rigidi limiti di bilancio, chiedono che la spesa per la difesa sia considerata investimento europeo comune, magari fuori dai parametri del Patto di Stabilità. Prima ancora, però, sarebbe necessario che il Parlamento italiano esprimesse una linea chiara: gli Stati Uniti e la NATO chiedono di portare la spesa militare subito al 2% del PIL, ma in Italia siamo oggi intorno all’1,46% (dati SIPRI 2024). Portarla al 5%, come evocato in certi ambienti strategici, appare oggi politicamente ed economicamente impossibile.


L'esercito italiano. Grandi eccellenze ma anche carenze strutturali


Va detto, ad onore del vero, che nonostante le tante criticità l'Italia è considerata una potenza militare significativa, posizionandosi come la seconda più forte d'Europa (anche se nei prossimi anni saremo superati dalla Germania) secondo alcune classifiche. L'esercito italiano ha forze armate ben strutturate, tra cui una marina tra le migliori al mondo, ma affronta sfide nell'ammodernamento e nell'aggiornamento delle dotazioni per tenere il passo con gli sviluppi globali. 

Il dato più preoccupante, infatti, riguarda la capacità operativa immediata: secondo fonti militari, l’Italia disporrebbe di munizioni sufficienti per resistere non più di 30 giorni in caso di conflitto ad alta intensità. Senza il supporto NATO, le nostre difese contraeree sarebbero, questo si legge senza smentite, del tutto insufficienti.
Eppure nel dibattito pubblico domina un senso di lontananza dal rischio, come se l’Italia fosse “fuori dal mondo”. Si pensa, molto ingenuamente, che “nessuno ci attaccherà mai”.


Un vertice Nato

Come ricordava Winston Churchill, “il desiderio di pace non basta a garantire la pace”. Oggi l’aria che tira nel mondo — dai Balcani al Mar Nero, dal Medio Oriente al Pacifico — suggerisce almeno una cosa: che l’Europa, se vuole davvero evitare la guerra, deve cominciare a pensare seriamente alla difesa. Non per amare la guerra, ma per rendere la pace più solida di una semplice illusione.


I droni. Ultima frontiera della guerra tattica


 

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