Meloni, in vantaggio sì, ma senza rete.

La destra cerca una nuova legge elettorale

 

Il “campo largo” resta ipotesi fragile, ma nei collegi uninominali potrebbe ribaltare il risultato. Cresce l’astensionismo, la Lega smarrisce identità e il 2027 si annuncia come un voto tutto da scrivere.

 

Giorgia Meloni, avanti nei sondaggi, sia con il suo partito che in quelli personali

Qualche settimana fa, su questo blog, ho analizzato i voti dei diversi partiti partendo dagli ultimi sondaggi nazionali e valutando l’impatto territoriale dei collegi uninominali rispetto alla legge elettorale.
Ciò che va sottolineato è che, se il cosiddetto “campo largo” dovesse concretizzarsi nella sua intera ampiezza — da Renzi al duo Bonelli-Fratoianni, passando per i Cinque Stelle —, il leggero vantaggio proporzionale del centrodestra potrebbe essere compensato dal voto nei collegi uninominali, soprattutto nelle regioni di centrosinistra e nelle grandi città. In quell’analisi indicai Carlo Calenda come possibile ago della bilancia. Sappiamo che Calenda si è ormai allontanato dalle sinistre, ritenendo incompatibile una sua presenza accanto ai Cinque Stelle.


Carlo Calenda, chissà dove si posizionerà nel 2027 con la sua Azione


Nulla è scontato per il 2027. È anche per questo che la presidente Meloni, che ha letteralmente cannibalizzato con Fratelli d’Italia il consenso interno alla maggioranza, guarda con interesse a una riforma della legge elettorale, l’idea è quella di ridurre il peso dei collegi uninominali.
La premier resta in vantaggio, ma senza margine d’errore. E, va detto, sul piano delle capacità politiche e strategiche, è un passo avanti rispetto agli altri leader. Solo Renzi mantiene una simile lucidità analitica, ma è ormai logorato sul piano elettorale.


I protagonisti del così detto "campo largo"


Dalle elezioni regionali emergono inoltre alcune tendenze significative:

1.    L’astensionismo cresce. È una tendenza omogenea, da nord a sud. Potrebbe segnalare una disaffezione verso il regionalismo, percepito come potere chiuso, clientelare e inefficiente. La qualità dei servizi – sanità, agricoltura, trasporti – è bassa. L’autonomia differenziata, da opportunità, è diventata un totem ideologico. Prima o poi si aprirà un dibattito sul rapporto tra spesa, efficacia dei servizi e benefici per i cittadini. Il futuro stesso del regionalismo potrebbe essere messo in discussione.

2.    Il voto significativo a “Toscana Rossa” e il ritorno di sigle come Potere al Popolo o dei collettivi più radicali segnalano un dissenso sociale profondo, che sfugge ai grandi partiti. Un problema per il “campo largo”, poiché né Cgil né Cinque Stelle intercettano questa protesta antisistema. 


Quello di Toscana Rossa è un laboratorio politico che ha trovato un suo spazio elettorale


3.    La Lega è in crisi di identità. Chi è di destra sociale vota Meloni, chi è moderato o riformista sceglie Forza Italia. Il generale Vannacci non è un leader plausibile e il flop toscano lo conferma. Il partito ha smarrito le sue battaglie fondative — federalismo, autonomia, territori, ceti produttivi — e appare privo di scopo.


Nella Lega è evidente che qualcosa non funziona


4.    La “Casa Riformista” di Renzi è una buona idea, ma il successo toscano è poco esportabile. Quella è la sua comfort zone, difficilmente replicabile altrove. Tuttavia, il progetto potrebbe consentirgli di tornare in Parlamento: un traguardo che, per lui, non è di poco conto.

5.    I Cinque Stelle appaiono a fine ciclo. Conte non possiede la verve né l’intuizione politica di Grillo. L’offerta spostata troppo a sinistra toglie al movimento la sua natura trasversale. Grillo era pop. Conte è lento e prevedibile.


Un altro coniglio dal cilindro di Renzi: Casa Riformista



Il primo partito nelle ultime tre regionali? Il non voto


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