Dal sogno di Berlusconi alla riforma Nordio: la giustizia cambia davvero
Dal ricordo umano di un leader al coraggio di una riforma attesa da decenni: la giustizia italiana torna a interrogarsi su se stessa, tra sogno, memoria e necessità di cambiamento.
di Gianfranco Blasi
Con Silvio Berlusconi, al di là degli incontri
ufficiali, ebbi modo di parlare una sola volta di giustizia, in un breve ma
intenso colloquio personale. Era il 2004.
Non entrerò nel merito delle ragioni di quell’incontro, che appartengono ad
altra sfera; resterò sul piano politico, perché – comunque la si pensi – per
lui quella della giustizia era “la questione delle questioni” per
l’Italia.
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| Silvio Berlusconi. Ha sempre creduto nella necessità di riformare la giustizia |
Berlusconi era convinto che, già da almeno un decennio
prima del suo primo governo, e in modo più evidente dal novembre 1994, qualcosa
si fosse incrinato in modo irreversibile nei rapporti tra i poteri dello Stato.
Riteneva che forze interne ed esterne alle istituzioni avessero agito per
ribaltare gli esiti elettorali, utilizzando alcune procure in senso più
politico che tecnico.
Il riferimento era all’invito a comparire emesso dalla Procura di Milano
proprio mentre, da presidente del Consiglio, presiedeva a Napoli la Conferenza
mondiale delle Nazioni Unite sulla criminalità transnazionale (non il G7, come
spesso ricordato). L’episodio, passato alla storia come il “garantito avviso a
Napoli”, divenne celebre anche per la notizia diffusa in anteprima dal Corriere
della Sera.
Quello che più mi colpì, in quei pochi minuti di
conversazione, non fu tanto l’elenco – per lui interminabile – delle
“aggressioni” subite, quanto il livello di sofferenza umana che
traspariva dalle sue parole.
Rievoco oggi quell’incontro perché credo che una linea
sottile, ma fortissima, unisca la stagione pionieristica di Berlusconi ai
giorni del ministro Carlo Nordio: il filo di un sogno, quello di una giustizia
più giusta, capace di tutelare davvero i diritti del cittadino, di non piegarsi
ai tempi infiniti dei processi né alle logiche delle correnti.
Quel sogno, spesso evocato e mai compiuto, sembra oggi
prendere corpo in una riforma costituzionale che segna una svolta nel panorama
politico e istituzionale italiano.
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| La riforma Nordio approvata fra la soddisfazione della maggioranza |
Con la riforma Nordio, il centrodestra realizza
uno dei punti più identitari del proprio programma: la separazione delle
carriere tra magistrati inquirenti e giudicanti, la limitazione dell’abuso
della custodia cautelare e una serie di interventi volti a ristabilire
l’equilibrio tra accusa e difesa.
Ma non solo. La riforma introduce anche il sorteggio dei membri togati del
Consiglio Superiore della Magistratura, misura pensata per ridurre il peso
delle correnti e frenare l’influenza delle fazioni più radicali all’interno
dell’organo di autogoverno dei giudici. È un passo importante per rompere quel
meccanismo di cooptazione che per anni ha alimentato sospetti e divisioni,
restituendo al CSM un volto più imparziale e rappresentativo.
Non si tratta soltanto di una riforma tecnica: è una svolta
culturale.
Significa riportare al centro il principio del giusto processo, quello
per cui nessuno è colpevole fino a condanna definitiva.
Chi segue la mia attività editoriale conosce il volume
Dialoghi con Cicerone, scritto insieme ad Aldo Noviello. In quelle
pagine riflettiamo, fra le altre cose, sulla misura e sulla giustezza del
processo, sulla sua ragionevole durata e sull’equilibrio fra accusa e difesa —
principi che ora, con la riforma Nordio, trovano finalmente spazio nella
cornice del potere giudiziario e nel suo rapporto con la rappresentanza
democratica.
Perché l’equilibrio istituzionale – questo è il punto
– deve consentire a ciascun ordine costituzionale di esercitare la propria
funzione in armonia con gli altri, sempre in una logica di servizio, mai
di potere.
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E proprio per rinforzare questo principio, mi piace
ricordare alcune parole di Cicerone sulla giustizia:
“Le armi cedano il posto alla toga” (Cedant arma togae),
“Siamo schiavi delle leggi per poter essere liberi”,
e ancora: “La giustizia non spera in nessun premio”.
Massime che sintetizzano la superiorità del diritto sulla forza e il senso
profondo del servizio pubblico della giustizia.
Tornando ai nostri giorni, per Carlo Nordio – giurista
e magistrato di lungo corso – la riforma rappresenta “la modernizzazione di un
sistema che troppo a lungo ha confuso la giustizia con il potere. Un giorno di
festa della e per la democrazia”.
Per la maggioranza di governo, è anche una vittoria
politica: un segnale di coerenza verso quegli elettori che, da trent’anni,
chiedono una giustizia meno politicizzata e più efficiente.
Dall’altra parte, la sinistra e le associazioni dei magistrati denunciano
invece “un attacco all’indipendenza della magistratura” e promettono battaglia.
Una battaglia che, presto, si combatterà fuori dal
Parlamento: all’orizzonte si profila infatti un referendum, il vero banco di
prova di questa legislatura.
Sarà una primavera caldissima, in cui lo scontro sulla giustizia si
sposterà dalle aule parlamentari alle piazze e infine alle urne.
Da un lato, chi vede nella riforma la realizzazione di un’idea liberale dello
Stato; dall’altro, chi teme un indebolimento dei controlli e delle garanzie.
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| I leader dell'opposizione al governo Meloni |
Il confronto, purtroppo, non sarà solo sul merito dei
quesiti referendari. Le sinistre, i movimenti più radicali e la Cgil di Landini
hanno già deciso di spostare il tema su un altro tipo di referendum. La domanda
sarà: Giorgia Meloni: sì o no?
I leader dell’opposizione ritengono che questa sia l’ultima occasione per far
cadere il governo o comunque per indebolirlo.
Ma la vittoria del Sì potrebbe trasformarsi in un boomerang per Conte e
Schlein: se uscissero sconfitti dalle urne, forse a dimettersi dovrebbero
essere proprio loro, per quel principio di “vasi comunicanti” che in politica
resta legato alla coerenza delle scelte e dei comportamenti.
Il risultato non è scritto, ma il confronto promette
di ridisegnare, ancora una volta, la mappa politica del Paese.
A trent’anni da Mani Pulite, l’Italia si trova
davanti a una nuova stagione.
Forse, come diceva Berlusconi, “una giustizia giusta non è di destra né di
sinistra, ma semplicemente necessaria”.
Sta ora agli italiani decidere se quel sogno, dopo
tanti tentativi, sia finalmente diventato realtà.





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