L’America che si divide: socialismo urbano e identità bianca


Il nuovo sindaco democratico di New York, Mandani con la moglie


Tra il sindaco socialista di New York e l’America di Trump corre una frattura che è ormai globale: quella tra città e province, tra uguaglianza e identità. È la nuova linea di conflitto dell’Occidente.

 

di Gianfranco Blasi

Nell’America che cambia, il pendolo politico continua a oscillare fra due estremi che si sfiorano e si oppongono.
Da un lato, le grandi metropoli globali — come New York — riscoprono il linguaggio del socialismo: gratuità totale di asili nido e scuole per l’infanzia, trasporti pubblici anch’essi gratuiti, un piano gigantesco per le case popolari, supermercati comunali per calmierare i prezzi dei beni di consumo. È il programma con cui il nuovo sindaco Mandani si è imposto come interprete di un bisogno di protezione sociale e di un desiderio di eguaglianza che il mercato, da solo, non riesce più a soddisfare.

Il suo successo non è solo economico: ha avuto un forte risvolto culturale e geopolitico. Il “fattore Gaza” ha pesato nelle piazze e nei campus universitari, dove la causa palestinese è diventata un simbolo morale di ribellione all’ordine costituito.
In una città dove la componente musulmana è sempre più numerosa e organizzata, le lobby e reti associative islamiche hanno inciso sul consenso di Mandani, contribuendo a fondere le istanze sociali con quelle più radicali. Il sindaco ha dato voce a una nuova sinistra metropolitana che unisce redistribuzione, diritti civili e critica al potere geopolitico americano.


Il fattore Gaza nelle università e nelle grandi città americane
ha pesato sulla scelta del nuovo sindaco della Grande Mela


Questo ritorno del “sociale” e dell’“etico” nella politica statunitense affonda le sue radici nella crisi del 2008, quella che costruì Obama e incrinò la fiducia cieca nel mercato. Dalla bancarotta di Lehman Brothers, l’idea del capitalismo come promessa universale di benessere non si è più ripresa. Lo dimostrano i sondaggi condotti nelle università d’élite — Columbia, Harvard, Stanford — dove una maggioranza di studenti giudica oggi il socialismo preferibile al capitalismo. È la generazione dei debiti studenteschi, degli affitti inaccessibili, della precarietà strutturale.

Ma accanto a quest’America urbana e progressista ne sopravvive un’altra, che guarda con rimpianto e irritazione al proprio passato. È l’America bianca e periferica, quella che J.D. Vance ha raccontato in Hillbilly Elegy: un mondo di comunità smarrite, di famiglie operaie senza più fabbriche, di orgoglio ferito e appartenenze dissolte. È qui che Donald Trump continua a raccogliere consensi, trasformando il disagio sociale in identità politica.
Mandani e Trump, pur agli antipodi, sono due risposte allo stesso disagio: la fatica di una democrazia che non riesce più a tenere insieme territori, culture e bisogni tanto diversi.


Vance ha offerto a Trump gli elementi valoriali e culturali 
per il programma make america great again


 

Eppure, in entrambi i casi, resta saldo il principio del popolo sovrano e della democrazia rappresentativa. Gli Stati Uniti continuano a essere una società liberale, capace di contenere gli estremi: utopia e paura, futuro e nostalgia. Solo che i sogni sono cambiati: nelle città si aspira all’eguaglianza, nelle province si desidera il riconoscimento.

Questa frattura non è solo americana. È lo specchio di una dinamica che attraversa l’intero Occidente. Le metropoli europee si muovono verso un progressismo sociale e cosmopolita; le aree interne si rifugiano in processi più identitari.
Anche in Italia la spaccatura è evidente: le città universitarie e produttive chiedono servizi, diritti, sostenibilità, in un contesto di rimozione dei valori tradizionali; le province più fragili reclamano protezione, sicurezza e rappresentanza.

L’America anticipa, ancora una volta, un destino comune: quello di società che cercano un nuovo equilibrio tra libertà e uguaglianza, tra mercato e comunità. È il vero terreno su cui si gioca, oggi, il futuro della democrazia occidentale.


Fra Trump e Mandani sono già scintille,
ma entrambi sono stati eletti dal popolo sovrano


 

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