L’educazione sentimentale non si insegna


Una scena di Parthenope, il delicato e intenso film di Sorrentino su Napoli e le donne


I sentimenti si imparano vivendo, leggendo, amando, perdendo. Tutto il resto è pedagogia senz’anima.

di Gianfranco Blasi

Non credo sia la strada migliore ridurre l’educazione sentimentale — la spontaneità dell’amore, la fisicità dei sentimenti, il misterioso legame tra due persone — a una materia d’insegnamento.
Amo lo studio, la conoscenza, la disciplina intellettuale: non c’è ambito dello scibile umano che non susciti la mia curiosità. Eppure l’educazione sentimentale appartiene a un’altra sfera, più segreta e indomabile: quella dei meccanismi dell’anima.




Essa si forma nel tempo, nella trama invisibile che intreccia la vita, la letteratura, la musica, il cinema, la poesia, il bel canto, e persino la scuola — ma solo quando quest’ultima non pretende di imbrigliare la libertà del sentire.
Flaubert lo sapeva bene quando, nel suo romanzo L’éducation sentimentale, raccontava l’impossibilità di educare davvero i sentimenti: essi si imparano, semmai, per sottrazione, attraverso le delusioni, gli slanci, le cadute e le rinascite.
Sono la vita e le sue contraddizioni a formare l’uomo e la donna nella loro capacità di amare.

“Parlare di educazione sentimentale in Parlamento

è giusto; trasformarla in slogan, un segno di decadenza civile”

Non si possono istituzionalizzare i buoni sentimenti: nascono nella libertà reciproca, non in un contesto coercitivo o in un programma ministeriale. Chi può stabilire, del resto, la bontà di un pensiero o di un comportamento, se non entro i limiti della legge e del comune sentire?
Eppure, proprio mentre il Parlamento italiano discute di “educazione alla gentilezza” e di “educazione sentimentale”, assistiamo a scene che tradiscono una decadenza del linguaggio e dei comportamenti pubblici. È un paradosso amaro: come si può parlare di gentilezza trasformando il dibattito in caciara, tra insulti e gesti scomposti che segnano la mancanza di tatto istituzionale?



Non c'è un dibattito in parlamento che trovi la strada del dialogo

Ho vissuto e vivo da molti anni accanto alla migliore delle insegnanti, e ho imparato da lei che una personalità si costruisce dentro i confini del pensiero critico, del rispetto assoluto per l’altro e per l’altra, della gentilezza dei modi.
È in quella quotidiana educazione al rispetto — fatta di silenzi, ascolti, correzioni e sguardi — che si apprende il senso profondo dell’umanità. Non in un’aula parlamentare o in un regolamento didattico.


L’insegnamento del pensiero critico riguarda il “ come pensare “ piuttosto che “ cosa pensare “ .


“La prima finalità dell’insegnamento è stata formulata da Montaigne:
è meglio una testa ben fatta che una testa ben piena”.

D'altronde cosa significa una testa ben “piena” è chiaro; è una testa nella quale il sapere è accumulato, ammucchiato, e non dispone di un principio di selezione e di organizzazione che gli dia senso”. Una testa ben “fatta” significa che invece di accumulare il sapere è molto più importante disporre allo stesso tempo di:  

– un’attitudine generale a porre e a trattare i problemi;
– principi organizzatori che permettano di collegare i saperi e di dare loro senso.

L’educazione sentimentale, come ci ricorda il cinema di Sorrentino, è un fatto di grazia e di dolore, di nostalgia e di stupore. È Penelope che attende, ma anche chi ha imparato ad accettare che l’attesa è parte stessa dell’amore. È un canto di De André, una nota di Chopin, una frase di Proust o una scena di Youth: momenti in cui l’animo si forma non per obbligo, ma per risonanza.

Un liberale rifugge sempre dagli eccessi dello Stato, soprattutto quando pretende di disciplinare ciò che per natura deve restare libero.
I sentimenti, come la bellezza, non si insegnano: si vivono, si attraversano, si ascoltano. Sono la parte più fragile — e più vera — della nostra umanità.

 

 

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