L’Europa che non c’è

Ursula von der Leyen, rappresenta un' Europa fragile
Trump e Putin si spartiscono territori e
interessi in Ucraina.
di Gianfranco Blasi
Né Zelensky né i leader europei avrebbero potuto
immaginare, neppure nei loro incubi peggiori, un capovolgimento così radicale
della posizione degli Stati Uniti: da alleati indefettibili del governo di Kiev
a suoi accusatori, con toni sorprendentemente simili a quelli di Putin.
La fine
dell’Occidente
È passato poco meno di un anno dall’insediamento di
Trump, il 20 gennaio, ma è bastato per far crollare l’illusione di una
transizione graduale. Il presidente americano, con un linguaggio inusuale nei
rapporti diplomatici, ha definito Zelensky un “comico mediocre” e un “dittatore”,
attribuendogli la responsabilità di aver iniziato la guerra e di aver
sperperato i miliardi di aiuti americani.
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| Il ciclone Trump si è abbattuto sull'Occidente |
Ma più delle parole contano i fatti. Kiev è stata estromessa dai negoziati avviati a Riad tra
Stati Uniti e Russia, nei quali si decideva il destino dell’Ucraina senza la
presenza dell’Ucraina. E non è solo Kiev a essere rimasta spiazzata dal
“ciclone Trump”. L’Europa, Regno Unito compreso, è stata relegata al ruolo di
spettatrice – se non addirittura di vittima designata – di una trattativa tra
due imperi che le negano qualunque ruolo su una questione che la riguarda
direttamente e per la quale da tre anni paga un prezzo altissimo.
È la fine della stretta cooperazione atlantica che,
dalla seconda guerra mondiale, ha definito ciò che chiamiamo “Occidente”. Ed è
la più grave crisi della NATO, la sua espressione militare, ora improvvisamente
rinnegata proprio dagli Stati Uniti.
Una guerra
giusta gestita nel modo sbagliato
Chi ha seguito questi “chiaroscuri” ricorderà la
linea: forte condanna dell’invasione russa, ma anche critica all’impostazione
occidentale. Senza attenuare la gravità del progetto imperialista di Putin e i
crimini del suo esercito – dalle atrocità di Bucha al rapimento di ventimila
bambini ucraini –, dobbiamo però ricordato che alla crisi avevano contribuito
anche l’espansione della NATO a est, in contrasto con lo spirito degli accordi
del 1989 tra Bush sr e Gorbaciov, e il rifiuto di Biden di dare garanzie a
Mosca che l’Ucraina non sarebbe entrata nell’alleanza.
Forse non sarebbe bastato a evitare l’invasione. Ma
certo non fu fatto alcun tentativo serio per impedirla. E dopo l’inizio del
conflitto, invece di avviare almeno un dialogo, gli Stati Uniti e i Paesi NATO
hanno scelto di trasformare la Russia in un «paria», tempestandola di sanzioni
ed escludendola da ogni spazio internazionale, persino dalle paraolimpiadi di
Pechino.
Già nell’aprile 2022 scrivevo su “Talenti Lucani”: “Non
è così che si costruisce la pace”. Demonizzare il nemico, credendo che la
pace verrà solo dalla sua sconfitta – come pensava Zelensky –, si è sempre
rivelata un’illusione tragica. E a pagarla, in questi tre anni, sono stati
centinaia di migliaia di giovani, morti o mutilati in combattimenti accaniti,
disumani, quanto sterili.
Una pace
necessaria gestita in modo ancora più sbagliato
Oggi la svolta trumpiana appare ancora più arbitraria.
Fino a due mesi fa la pace era confusa con la vittoria militare; ora è
identificata con l’imposizione degli interessi americani, cui tutti dovrebbero
adeguarsi.
Alle omissioni del passato – il mancato riconoscimento
della componente difensiva dell’aggressione russa – si aggiunge ora un
ribaltamento totale: Trump tratta con il Paese aggressore escludendo quello
aggredito. Dalla demonizzazione indiscriminata del popolo russo si passa alla
riabilitazione del suo leader, lo stesso Putin incriminato dalla Corte Penale
Internazionale per crimini contro l’umanità.
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| La forza militare di Putin in Ucraina è sovrastante per uomini e mezzi |
Si parla da giorni di oltre venti punti per una pace “made in
USA”. Ma ciò che colpisce è la loro esplicita dimensione commerciale. Anche con
Biden gli Stati Uniti avevano approfittato della crisi – basti pensare al costo
del gas o al mercato delle armi –, ma oggi si assiste a qualcosa di diverso: una
pace a pagamento. All’Ucraina viene chiesto di “comprare” la protezione
americana; ciò che preme al presidente sembra non essere la libertà di quel
popolo, ma le sue risorse: le famose “terre rare”.
Secondo il Telegraph e il Financial Times,
la bozza di accordo – prima riservata, ora più trasparente – prevedrebbe, in
cambio della protezione, l’accesso dei capitali americani allo sfruttamento di
porti, infrastrutture, giacimenti minerari, petrolio, gas. “Peggio di
Versailles”, ha osservato qualcuno.
L’Europa al
bivio
In questo quadro, l’Europa affronta la prova più
difficile dal 1945. Per decenni, il tandem con gli Stati Uniti le aveva
permesso di vivere nel limbo di un’unione economica incapace di diventare
un’unione politica. Il prevalere dei nazionalismi, – ben rappresentato
dall’ascesa dei partiti sovranisti, alcuni arrivati al potere – ma anche la
debolezza di socialisti e popolari - ha ulteriormente indebolito il progetto
europeo.
Non sorprende il successo, in seno alla UE, della
linea Meloni, che sposta l’attenzione dall’integrazione alla difesa dei
confini. Cioè una interpretazione difensiva e rassicurante dell’idea di Unione.
Del resto, una politica estera comune che richiede l’unanimità è
strutturalmente fragile.
Ora però l’Europa deve decidere: continuare nella
frammentazione – accettando il rischio di diventare una colonia geopolitica di
Stati Uniti o Russia – oppure procedere rapidamente verso una vera unità. Il
dibattito su una forza di difesa comune va in questa direzione, ma non basta.
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| D.J. Vance a Monaco qualche mese fa |
L’anima che non
c’è
All’Europa manca infatti qualcosa di più di un
esercito: manca un’anima. Il rifiuto, durante il dibattito
costituzionale del 2005-2007, di inserire un riferimento alle radici cristiane
è stato il sintomo di un distacco profondo dalla tradizione spirituale che ne
aveva accompagnato la nascita. Oggi ciò che resta condiviso sono quasi solo
vincoli economici e regole sanzionatorie – che hanno contribuito, ad esempio,
alla crisi drammatica dell’automotive per l’eccessiva rigidità delle norme sul
green.
Lo ha ricordato, con lucidità, il vicepresidente
americano JD Vance nel suo discorso del 14 febbraio a Monaco:
«La minaccia che mi preoccupa di più per l’Europa non è esterna. È il suo
arretramento da alcuni dei suoi valori fondamentali».
È in questo vuoto che l’Europa rischia di diventare
spettatrice della propria storia, mentre Russia e America si spartiscono interessi
nella “martoriata”, come la chiamava papa Francesco, Ucraina.
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| La von der Leyen con la nostra Giorgia Meloni |




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