Quando il bosco
insegna più dello Stato
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| La famiglia, unita, prima della sottrazione dei bimbi, con una decisione del tribunale dell'Aquila |
Dalle parole di Camillo Langone a San Bernardo, una riflessione sul potere
che strappa e sulla natura che accoglie: tre bambini, una montagna, e la paura
del Leviatano moderno
di Gianfranco
Blasi
Eccolo,
il mio amico, critico d’arte e intellettuale di spessore, Camillo Langone,
scrivere su IL FOGLIO:
“San Bernardo di Chiaravalle, non ti
hanno mica letto le assistenti sociali abruzzesi, né i giudici dei tribunali
aquilani. E dire che non occorreva scandagliare tutto il tuo epistolario, né
avventurarsi nel labirinto dei tuoi sermoni: sarebbe bastato quel frammento –
semplice, nitido, potente – che da nove secoli attraversa come una folgorazione
la coscienza d’Europa:
“Troverai
più nei boschi che nei libri.
Gli alberi e le
rocce ti insegneranno cose che nessun maestro ti dirà.”
La preghiera più famosa attribuita
a San Bernardo è la preghiera a Maria, nota anche come il
"Memorare". Si tratta di un'invocazione che chiede alla Vergine
di non abbandonare chi le si rivolge, anche se peccatore, e si conclude con la
supplica di essere esauditi. Vorrei qui, anche io, trasformare questa
riflessione in un “Memorare”. Pregare perché i tre bambini possano tornare ai
loro genitori e al bosco.
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| Dante, Canto XXXIII del Paradiso: la preghiera alla Vergine di San Bernando |
Prego perché mi sento disarmato rispetto al
potere e allo stato. Se già i maestri del XII secolo, i dotti della cristianità
medievale, erano destinati a perdere il confronto con rovere e faggi, con la
sapienza muta e misericordiosa della natura, figuriamoci noi rispetto ad alcune/i degli insegnanti dell’odierna scuola senz’anima, troppo spesso ridotta ad
amministrare protocolli e a sorvegliare assenze. In gara perfino contro muschi e licheni, quei
minuscoli professori di umiltà che insegnano più della pedagogia ministeriale,
più della psicologia da modulistica.
Lassù,
sulle montagne d’Abruzzo, i tre bambini strappati ai genitori
vivevano senza energia elettrica, senza acqua corrente, senza termosifoni:
vivevano, direbbero i moderni, “in condizioni di disagio”; vivevano, direbbe la
terra, “nel ritmo antico delle cose”. A impatto ambientale zero: non per
ideologia, ma per destino, proprio come i miei nonni materni, vissuti nella
montagna lucana, ad Anzi, dove la notte era nera davvero e la luce veniva dal
fuoco, non poi dagli anni ’60 dalla rete elettrica. Io ricordo la stalla, sotto
l’abitazione piena di cose e di animali. Quell’odore pungente non
mi metteva a disagio. Vivevo in città ma amavo il paese delle mie estati.
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| Anzi, il paese della mia infanzia e delle mie estati |
Sentite
ancora Langone:
“E adesso che ci penso, anch’io ho
trascorso un frammento d’infanzia in una casa di ringhiera nel cuore di
Caserta, con il bagno esterno, esposto alle stagioni come un confessionale di
pietra. Chissà se allora avrebbe avuto l’“abitabilità” secondo le tabelle
odierne: eppure ci abitavamo, e ci vivevamo”.
San
Bernardo, i funzionari pubblici avrebbero potuto leggere te, o almeno chi –
come Jünger
e Thoreau
– ha cantato il “passaggio al bosco”, l’esilio volontario dal rumore
dell’epoca, la fuga necessaria per ritrovare un barlume di verità. Ma sembra
che, nelle stanze dei servizi sociali e in quelle gelide dei tribunali italiani,
si siano nutriti soltanto di Hegel
e Hobbes,
i filosofi dello Stato che ingloba tutto, che si sostituisce alle famiglie, che
osserva, classifica, regola, misura, intervenendo con l’ineluttabilità di una
legge di gravità.
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| La mamma, quando era ancora felice con i suoi bambini |
E si
prova paura. Paura del Leviatano che scende dalle gradinate del tribunale con
la stessa indifferenza di un temporale.
Splendida,
la preghiera finale di Camillo Langone, lucano d’origine:
“San Bernardo, monaco del silenzio e
della foresta, proteggi
quei tre bambini. Riportali ai loro veri maestri: ai lecci che
insegnano la tenacia, ai salici che mostrano come ci si piega senza spezzarsi,
agli olivi che raccontano la pazienza dei secoli, alle roverelle che
sorvegliano i pascoli come antiche sentinelle.
Riportali là dove gli alberi parlano piano, ma dicono l’essenziale. Là dove
nessun ufficio potrà mai sostituire la libertà dell’infanzia, e nessun decreto
potrà mai contenere il respiro del bosco”.
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| Camillo Langone, scrive per IL FOGLIO |





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