Riduzione fiscale: il banco di prova è
la durata
Dai tagli
IRPEF al cuneo fiscale, il governo punta alla stabilità. Ma la sfida, avverte
Giorgetti, è rendere strutturali le misure e sostenibili i conti

Il ministro dell'Economia Giancarlo Giorgetti
di Gianfranco Blasi
Ma davvero chi guadagna tra i 28.000 e i 50.000 euro annui
lordi può definirsi “ricco”? O si può credere che una riduzione di due
punti dell’IRPEF su questa fascia di reddito rappresenti un torto ai meno
abbienti? C’è chi ritiene che una
società appiattita su redditi medio-bassi possa essere competitiva?
E non entriamo, per ora, nel merito della cosiddetta “patrimoniale”:
significherebbe tassare due volte chi, ad esempio, supera i 70.000 euro l’anno
— e che già versa circa la metà di quanto guadagna o produce allo Stato.
Ecco perché, nel dibattito economico italiano, assume
un rilievo crescente il monito del ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti: non
basta un apparente calo delle imposte. Il giudizio sulla riduzione fiscale,
avverte, non deve essere superficiale. Va compreso nel suo insieme —
considerando le misure adottate negli ultimi anni — e nel percorso più ampio
verso una riduzione strutturale del cuneo fiscale.
Il contesto e
la motivazione
Giorgetti richiama un principio semplice ma spesso
trascurato: la leva fiscale non è uno strumento di propaganda, ma di
politica economica.
Un taglio temporaneo o parziale, come una riduzione dell’IRPEF limitata a una
fascia di reddito, può avere un effetto immediato, ma non risolve il problema.
L’obiettivo è che la riduzione diventi strutturale, cioè inserita
stabilmente nel sistema e capace di trasformare nel tempo il modello di
prelievo fiscale.
In questo senso, l’attenzione del ministro si concentra sulla dinamica del
cuneo fiscale, ovvero la differenza tra quanto costa il lavoro all’impresa
e quanto resta realmente in busta paga al lavoratore.
Negli ultimi due anni, l’Italia ha agito su più
fronti:
- Legge di bilancio 2024. La Camera ha approvato un pacchetto da circa 28
miliardi di euro, comprendente la riforma dell’IRPEF e la proroga della
riduzione del cuneo fiscale per i redditi fino a 35.000 e 25.000 euro.
- Strategia 2025-2026. L’obiettivo è rendere strutturali sia il
taglio del cuneo fiscale sia la nuova IRPEF a tre aliquote. Come ha
dichiarato Giorgetti: «Il taglio del cuneo e dell’IRPEF saranno
strutturali».
- Dati chiave. Secondo le stime del Ministero, la misura sul cuneo fiscale coinvolge
circa 14 milioni di lavoratori, per un costo complessivo superiore
ai 10 miliardi di euro.
- Prossima manovra. Si ipotizza una riduzione dell’aliquota IRPEF
dal 35% al 33% per i redditi compresi tra 28.000 e 50.000 (o fino a
60.000) euro, con effetti su circa 13-14 milioni di contribuenti.
Perché non
basta “tagliare”
Sarebbe ingenuo pensare che basti annunciare un
“taglio delle tasse” per ottenere consenso o risultati duraturi. Giorgetti, e i
numeri con lui, avvertono che la sfida non è solo tecnica, ma strutturale:
- Se la riduzione resta temporanea o non
accompagnata da riforme profonde, rischia di essere coperta con deficit o
misure una tantum, mettendo sotto pressione i conti pubblici. Il governo
deve comunque rispettare il vincolo europeo sul rapporto deficit/PIL e il
percorso di consolidamento strutturale.
- Se il cuneo fiscale non viene ridotto in modo
permanente, il vantaggio può evaporare o essere eroso dall’inflazione
e dal cosiddetto fiscal drag (lo scivolamento dei redditi in fasce
più alte per effetto dell’aumento nominale dei salari).
Una recente analisi della Commissione Bilancio della Camera rileva che «il contribuente con reddito medio-basso è stato più che compensato con il taglio del cuneo fiscale, mentre quelli con redditi medio-alti hanno semplicemente pagato più tasse, tenendo conto anche degli aumenti salariali degli ultimi contratti». - Servono infine coperture certe. Si stima che la sola proroga e l’ampliamento del taglio del cuneo richiedano circa 10,7 miliardi di euro, a cui si aggiungono 4 miliardi per la riduzione dell’IRPEF.
Il “giudizio
non superficiale”
Cosa significa, dunque, valutare in modo non
superficiale la riduzione fiscale?
1.
Valutarne il
carattere strutturale: non interventi
“una tantum”, ma riforme destinate a durare nel tempo.
2.
Contestualizzarla
nel tempo: considerare le misure come parte di un percorso, non
come eventi isolati.
3.
Misurare gli
effetti sul cuneo fiscale: il vero
indicatore è quanto si riduce il divario tra costo del lavoro e salario netto.
4.
Garantire
sostenibilità e coerenza: una riduzione
che genera crescita è più sostenibile di una che peggiora i conti pubblici.
5.
Verificare
l’equità distributiva: capire chi ne
beneficia realmente — i redditi medio-bassi o quelli più alti — resta una
questione cruciale.
Una valutazione
provvisoria
Alla luce delle misure già approvate e di quelle in
preparazione, si può formulare una valutazione preliminare:
- Positivo: è in
corso il passaggio da misure temporanee a interventi strutturali, con la
prospettiva di mantenere nel tempo la riduzione del cuneo.
- Critico: restano
incerti i margini di copertura e l’effettivo beneficio per i redditi
medio-bassi, oltre alla capacità del sistema di generare crescita
sufficiente a compensare il minor gettito.
- Da monitorare: l’effettiva entità della riduzione del cuneo, i suoi effetti sul
salario netto, l’impatto della nuova IRPEF sui contribuenti e la reazione
di UE e mercati rispetto alla sostenibilità dei conti pubblici.

La Finanziaria quest'anno sarà discussa prima in Senato
Conclusione
Al di là della polemica politica, il messaggio di
Giorgetti è chiaro: la riduzione fiscale può essere una leva di rilancio
economico e sociale solo se diventa riforma strutturale, coerente con un
modello sostenibile di finanza pubblica.
Il vero banco di prova non è “il taglio dell’anno”, ma la capacità di
mantenerlo nel tempo, di estenderlo e di far sì che produca effetti
concreti su lavoro, produttività e reddito disponibile.



Commenti
Posta un commento