Trump e la retromarcia inevitabile: quando l’ostinazione diventa un costo
per tutti
Con
i dazi si voleva proteggere l’America: si è solo fatto lievitare il prezzo
della spesa.
di Gianfranco Blasi
La decisione di Donald Trump di fare marcia indietro
sui dazi applicati alla pasta e ad altri beni alimentari europei arriva dopo
mesi in cui le famiglie americane hanno visto salire i prezzi nei supermercati
e nei mercati alimentari. Proprio quei dazi che avrebbero dovuto “proteggere” i
produttori americani si sono trasformati nell’ennesima tassa occulta sui
cittadini, colpendo i consumatori molto più di quanto non avessero realmente
aiutato l’industria domestica.
Questa piccola retromarcia non è un dettaglio: è il
simbolo di un approccio ostinato e semplicistico alla politica commerciale, che
ignora decenni di storia economica e un principio fondamentale della crescita
globale.
Il ritorno alle
guerre commerciali: un passo indietro di quasi un secolo
Con l’imposizione di dazi elevati e mirati contro
Paesi e beni specifici, Trump ha riaperto il capitolo più buio delle guerre
commerciali. Quel capitolo che il mondo aveva cercato di chiudere
definitivamente quando, con fatica, 164 Paesi avevano dato vita a un sistema
multilaterale del commercio: l’Organizzazione Mondiale del Commercio (OMC).
![]() |
| La guerra globale dei dazi dichiarata da Trump |
Non fu un caso. Le guerre tariffarie degli anni Trenta
furono uno dei principali amplificatori della Grande Depressione: trasformarono
una crisi finanziaria in un collasso globale. Proprio per evitarne una replica,
la comunità internazionale scelse regole comuni, arbitrati e negoziazione
multilaterale.
Nel 2008, nonostante la crisi finanziaria fosse la più
grave dal 1929, non precipitammo in una depressione proprio perché nessun
grande Paese scelse la strada dei dazi. Almeno fino all’era Trump.
Le ragioni
(buone e cattive) per imporre dazi
Esistono solo due motivazioni legittime per ricorrere
ai dazi.
La prima: punire la violazione delle regole del commercio internazionale
– come abusi sulla proprietà intellettuale, sussidi distorsivi o barriere
tecniche ingiustificate. In questi casi i dazi sono una sorta di sanzione
temporanea, un modo per riportare un Paese all’interno delle regole. Ma sono
strumenti costosi, inefficaci nel lungo periodo e proprio per evitarli è nata
l’OMC.
La seconda motivazione, più populista e più
frequentemente evocata da Trump, è la seguente:
“Paesi come la Cina producono tutto a costi
bassissimi. Se non imponiamo dazi, non sopravvivremo.”
Una tesi che sembra intuitiva. Ma che ignora
completamente il meccanismo più fondamentale dell’economia internazionale: il
principio dei vantaggi comparati.
![]() |
| In Cina si continua a mantenere basso il costo del lavoro, ma la situazione sta cambiando gradualmente |
Perché i
vantaggi comparati smentiscono Trump
Il premio Nobel Paul Samuelson spiegò che il teorema
dei vantaggi comparati è una delle poche verità non ovvie dell’economia.
In estrema sintesi: anche se un Paese è più efficiente in tutto (la Cina in
magliette e computer, per esempio), la specializzazione conviene comunque a
entrambi, perché ciò che conta non è il vantaggio assoluto, ma quello relativo.
Gli USA abbandoneranno la produzione di magliette per
concentrarsi su computer più avanzati; la Cina farà il contrario. Entrambi
producono ciò in cui sono relativamente migliori, e tutti guadagnano.
Questo è esattamente ciò che è accaduto a ogni
economia avanzata nella storia moderna.
Ed è ciò che Trump ignora deliberatamente.
I dazi come
sabotaggio della crescita
Ogni volta che si interrompe la specializzazione –
imponendo dazi, punendo settori emergenti, proteggendo produzioni non più
competitive – si rallenta la produttività complessiva del sistema.
Il protezionismo non salva il lavoro: salva alcuni lavori a scapito di
tutti gli altri.
E soprattutto aumenta i prezzi interni.
È esattamente ciò che è successo negli USA:
- la pasta più cara,
- i beni alimentari più costosi,
- le famiglie che pagano il prezzo della politica
economica di Trump.
Di qui la retromarcia. Inevitabile, tardiva, ma
rivelatrice.
![]() |
| Il nostro boom economico negli anni '50. Fu chiamato "miracolo italiano" |
Quando il
protezionismo diventa un boomerang
I vantaggi comparati non sono statici: la Cina non
produrrà per sempre “magliette”, così come l’Italia non è rimasta ferma alle
lavatrici copiate negli anni Cinquanta.
La crescita si basa proprio sul continuo spostamento verso settori più
avanzati. Bloccare queste trasformazioni significa bloccare lo sviluppo.
E la risposta politica corretta non è difendere a
oltranza posti di lavoro destinate a scomparire, ma proteggere i lavoratori,
aiutandoli a spostarsi nei settori in crescita.
![]() |
| I supermercati americani. Da mesi alcuni scaffali sono vuoti. Il prezzo di alcuni prodotti non è più competitivo |
Conclusione:
Trump difende un passato che non tornerà
L’ostinazione di Trump sui dazi, la sua visione
nostalgica della produzione manifatturiera, la sua guerra ai flussi commerciali
sono tutti elementi di un approccio che guarda indietro, non avanti.
La marcia indietro sulla pasta è solo un piccolo
esempio di un errore più grande: credere che si possa governare un’economia
complessa con barriere, punizioni e tariffe arbitrarie.
La storia economica degli ultimi due secoli ci dice
una cosa semplice:
il protezionismo fa male, sempre; il costo lo pagano i
consumatori; il danno lo subisce la crescita.
Trump può ignorarlo.
Ma l’economia, e i prezzi nei supermercati americani, non lo faranno.





Commenti
Posta un commento