Il presepe e la centralità di Cristo

L'opera del Ghirlandaio: L'adorazione dei pastori

Contro le riduzioni ideologiche del Natale
di Gianfranco Blasi
Nel richiamare
con forza la tradizione del presepe, Papa Leone XIV riporta la
riflessione cristiana al suo nucleo essenziale: la
centralità di Gesù Cristo,
il Figlio di Dio fatto uomo, l’Emmanuele, «Dio con noi». Non si
tratta di un richiamo nostalgico o folkloristico, ma di un atto
teologico e pastorale di grande rilevanza, soprattutto in un tempo in
cui il Natale rischia di essere svuotato del suo significato
originario e piegato a letture estranee al suo contenuto di fede.
Il presepe, nella sua semplicità, è una vera professio fidei: esso racconta l’Incarnazione, l’irruzione del divino nella storia, la scelta di Dio di farsi fragile, povero, esposto. Come ricorda san Leone Magno,
«Colui che è vero Dio nasce come vero uomo, senza perdere nulla della sua divinità e assumendo interamente la nostra umanità»
(Sermone 21, In Nativitate Domini).
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| La Sacra Famiglia nell'arte bizantina |
L’Emmanuele e il senso autentico della nascita
Al centro del presepe non vi è un’idea, un simbolo generico di inclusione o un mito edificante, ma una persona reale, Gesù di Nazaret, riconosciuto dalla fede della Chiesa come il Cristo. La nascita non è un fatto neutro, né un evento semplicemente umano: è un atto di rivelazione. Come afferma sant’Atanasio,
«Il Verbo di Dio si è fatto uomo perché noi potessimo diventare partecipi della vita divina»
(De Incarnatione, 54).
In questa prospettiva, il Papa invita a distogliere lo sguardo dai falsi miti che, spesso in nome di un malinteso rispetto o di un conformismo culturale, finiscono per snaturare il messaggio cristiano. Togliere i pastori per evitare presunte “discriminazioni sociali”, alterare la figura della Santa Famiglia per adattarla a categorie ideologiche contemporanee, o reinterpretare Gesù secondo schemi identitari estranei al Vangelo, significa perdere il senso stesso del Natale.
Il rischio della riduzione ideologica
Il presepe non è un manifesto politico, né un laboratorio simbolico per sperimentazioni culturali. È, piuttosto, una narrazione teologica che custodisce un equilibrio profondo: l’unità tra divino e umano, tra grazia e storia, tra mistero e concretezza. Come ricorda Joseph Ratzinger,
«Quando la fede viene piegata a criteri estranei alla sua origine, non viene resa più accessibile, ma semplicemente dissolta»
(Introduzione al cristianesimo).
In questo senso, la pretesa di reinterpretare Gesù secondo categorie ideologiche contemporanee — fino a descriverlo come figura simbolica di identità fluide o di neutralità sessuale — non è segno di apertura, ma di smarrimento del riferimento cristologico. Il Cristo del presepe non è il prodotto di una costruzione culturale: è il Figlio generato dal Padre, nato da Maria, in una storia concreta e in un corpo reale.
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| Papa Leone XIV |
Maria, Giuseppe e la verità della relazione
La Santa Famiglia non è un modello sociologico, ma una realtà teologica. Maria non è un archetipo intercambiabile, né Giuseppe una figura accessoria. In essi si manifesta una verità fondamentale: Dio entra nella storia attraverso relazioni reali, sessuate, incarnate. Sant’Agostino lo esprime con chiarezza:
«Cristo nasce da una donna perché la nostra natura fosse onorata; nasce da una vergine perché la fede precedesse la comprensione»
(Sermone 186).
Ogni tentativo di sostituire questa verità con costruzioni simboliche alternative, pur animate da intenzioni inclusive, finisce per oscurare la logica dell’Incarnazione, che non cancella la differenza, ma la assume e la trasfigura.
La nascita come atto di fede
Il Papa, richiamando il presepe, invita infine a riscoprire la nascita come atto di fede. Guardare il Bambino nella mangiatoia significa riconoscere che la salvezza non viene dal potere, dall’autorealizzazione o dall’adattamento culturale, ma da un Dio che si consegna alla libertà dell’uomo. Come scrive Hans Urs von Balthasar,
«Dio si fa piccolo perché l’uomo possa accoglierlo senza paura»
(Teodrammatica).
In questo senso, il presepe non esclude nessuno, ma include tutti nella verità del mistero cristiano, non nella sua dissoluzione. Il rispetto per ogni persona non richiede la rinuncia alla propria identità, né la confusione tra accoglienza evangelica e conformismo ideologico.
Ritornare al presepe significa, oggi più che mai, ritornare a Cristo. Non a un Cristo reinterpretato, addomesticato o simbolicamente riplasmato, ma al Cristo vivo della fede della Chiesa. Solo così il Natale conserva la sua forza dirompente: non come celebrazione sentimentale, ma come annuncio che cambia la storia.
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| Il presepe di Sutrio per il Natale 2022 a San Pietro |
Buon Natale alle lettrici e ai lettori di Pensieri Meridiani



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