Putin, i droni e l’atomica: il ricatto permanente
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| Vladimr Putin, sempre più aggressivo e sconcertante |
Il ricatto nucleare, la stanchezza dell’opinione pubblica e l’illusione di una guerra senza fine.
di Gianfranco Blasi
Putin dice che dei droni hanno sorvolato la sua villa. Veri? Finti? Russi? Ucraini? Autoprodotti per l’occasione, come certi attentati utili a giustificare leggi speciali? Poco importa. Il messaggio è chiaro e lo recapita con la delicatezza di un martello pneumatico: bam! — i missili nucleari in Bielorussia sono operativi. Traduzione: posso distruggere l’Europa, il mondo, l’Universo e magari anche il sistema solare, se mi gira male la giornata.
Ora, non credo davvero che Putin userà l’atomica. Non siamo (ancora) in un film di Kubrick. Ma non credo neppure che abbia la minima intenzione di negoziare seriamente la pace. Perché dovrebbe? Ha già sulla coscienza un numero di morti che fa tremare i polsi: giovani russi mandati al macello, soldati ucraini, civili ucraini. Un milione di vittime, più o meno. Una cifra che, per dare un ordine di grandezza, rende il massacro palestinese — terribile, ingiusto, straziante — un duecentesimo di questa carneficina.

La devastazione nel cuore di Kiev
Eppure, nelle piazze europee, bandiere ucraine se ne vedono sempre meno. Di pro-Pal ce ne sono a chili: buoni e cattivi, ingenui sinceri e finanziatori di Hamas, pacifisti autentici e utili idioti. Per l’Ucraina, invece, silenzio. Forse perché quella guerra è lunga, complicata, scomoda. Forse perché non offre più un racconto semplice di oppressi e oppressori. O forse perché ci siamo stancati di guardare un massacro che non finisce più.
Putin, nel frattempo, resta quello che è: cinico, freddo, con una visione distorta della realtà e del proprio ruolo nella storia. E proprio per questo è pericolosissimo. Non perché sia folle — i folli sono imprevedibili — ma perché è lucidissimo nel suo cinismo. Usa la minaccia nucleare come un’arma politica, come un ricatto permanente: “o fate come dico io, o vi faccio vivere sotto l’ombra del fungo atomico”.
In questo scenario, lo dico senza ipocrisie, Trump non ha torto quando prova a circuirlo. Lo fa per sé, per l’America, per i suoi interessi — non certo per amore dell’umanità — ma che altra strada esiste? Davvero pensiamo di poter continuare all’infinito questa guerra di logoramento? Davvero possiamo tormentare le nostre opinioni pubbliche, prolungare una carneficina e continuare a esporre le nostre nazioni al rischio — anche solo teorico — delle bombe atomiche di Putin?

La mediazione di Trump appare sempre più irrinunciabile
A un certo punto bisogna dirlo chiaramente: anche gli ucraini, il governo ucraino, e il loro presidente — quello delle smorfie davanti a Trump — dovranno capirlo. Non perché Zelensky abbiano torto, non perché Putin abbia ragione, ma perché la realtà non premia la giustizia: premia la forza, il cinismo e il tempo. E Putin, purtroppo, gioca questa partita da troppo tempo per perdere per stanchezza.
La pace che verrà non sarà giusta. Non lo è quasi mai. Ma continuare così non è eroismo: è accanimento. È la trasformazione della sofferenza in una prova di resistenza morale, mentre il conto dei morti cresce e il rischio — anche remoto, ma reale — di un’escalation nucleare resta sul tavolo. L’atomica non è una figura retorica, né un espediente propagandistico: è il limite assoluto della politica, il punto oltre il quale non esistono più valori, né bandiere, né ragioni.
Non è codardia dirlo. È lucidità. Esiste la pace perfetta, che consola le coscienze, e poi esiste la pace possibile, che salva ciò che può essere salvato. Davanti alle guerre, la “pace giusta” è spesso un’illusione linguistica, un ossimoro rassicurante. Ha ragione Papa Leone. Aveva ragione Papa Francesco. La storia insegna che la pace arriva quasi sempre quando qualcuno accetta di pagare un prezzo. Fingere il contrario non è morale: è irresponsabile.

Le facce di Zelensky quando è con Trump.
Tutte da interpretare...

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