Giulio Tremonti: "L'Europa deve tornare alla storia. Non si convocano i summit per dedicare due righe al rapporto Russia - Ucraina e quattro pagine alla questione Gender. Non sta né in cielo né in terra"

 



"E' il momento di decidere e pensare da Stati". Parla l'ex ministro dell'Economia dei governi di Silvio Berlusconi




Professor Giulio Tremonti, ex ministro e presidente dell'Aspen Institute Italia, non è ancora chiaro dove sfocerà questa crisi ucraina. Intanto ci spiega da dove nasce?

Secondo Benedetto Croce non esistono gli incidenti della storia, ma solo l'incapacità di ricostruire i cambiamenti che fanno la storia. Questo è un esercizio che occorre compiere non per giustificare l'intervento russo - che è ingiustificabile - ma quantomeno per capire. Più della richiesta di entrare nella Nato, il fattore che ha innescato la crisi risale al 2014, quando l'Ucraina non stipula l'accordo doganale con la Russia, ma avvia una trattativa per un accordo commerciale con l'Unione Europea.

In quel momento si innescarono tensioni che oggi sono degenerate in guerra aperta?

La sequenza dei fatti si è sviluppata su tre fasi. La prima va dalla caduta del Muro alla fine degli anni Novanta, quando la Russia precipita in una catastrofe sociale e morale, con la povertà dilagante e le rapine degli oligarchi. Al tempo in Russia si usava dire: "Siamo una Nigeria con la neve". In quel periodo, l'Occidente esportava a Mosca democrazia e mercato.

In seguito?

 

Superata la crisi, Russia e Occidente si avvicinano. È la fase politica di Bush, di Berlusconi, della visione dell'Europa "dall'Atlantico agli Urali", quella di De Gaulle e di Wojtyla. La Russia entra nel G7 che diventa G8, nel cuore del sistema politico ed economico occidentale. Erano evidenti i limiti democratici di Mosca, ma si pensava potessero essere superati. Ricordo il gemellaggio allora in essere tra la Camera dei deputati italiana e la Duma russa: si chiamava "Grande convenzione. Il rapporto con la Russia va via via dissolvendosi. E l'Occidente, Europa compresa, inizia a favorire l'autonomo sviluppo democratico dell'Ucraina. Il Paese comincia a confrontarsi in forma dialettica e competitiva con la Russia, integrando un modello politico e sociale più liberale, non particolarmente gradito a Mosca.





 

Sta dicendo che la classe dirigente occidentale non si era accorta di quanto stava accadendo tra Ucraina e Russia?

 

Legga il communiqué finale del G7 del 13 giugno: ci sono due piccoli paragrafi su Russia e Ucraina, e pagine intere sulla gender equality e sulla palingenesi del mondo che dovrebbe rinnovarsi nella transizione digitale, ambientale e sociale.

 

E il G20 di Roma?

 

Non è stato diverso, se non per il lancio delle monetine nella fontana di Trevi. Non si erano accorti di essere in 18 invece di 20: guarda caso, mancavano all'appello Russia e Cina. I rapporti tra Russia e Ucraina diventano cruciali, ma l'impressione è che i Grandi della terra si presentino come "turisti della storia". Nel 2016 scrissi il libro intitolato Mundus furiosus: la storia, che si pensava fosse finita, oggi è tornata con il carico degli interessi arretrati, e accompagnata dalla geografia.


 


 


Il risultato è che oggi l'Europa appare divisa sulla risposta all'aggressione di Putin. Ai carri armati russi si risponde con una trafila di riunioni.

 

Al principio l'Europa ebbe un'intensa configurazione politica: pensiamo alla Comunità europea del carbone e dell'acciaio, all'Euratom, al Cern di Ginevra e all'ipotesi della Comunità europea di difesa (Ced). Tutte queste iniziative non vennero sviluppate, e l'Europa virò su una straordinaria connotazione economica, terminata con la creazione dell'euro. Forse è venuto il momento di passare dall'economia alla politica.

 

Come, in concreto?

 

Mi permetto di ricordare che nel 2003, sotto la presidenza italiana del semestre europeo, la proposta del nostro governo era quella degli eurobond, per finanziare infrastrutture e industria militare. La reazione fu negativa in assoluto, mentre il cancelliere dello scacchiere, l'inglese Gordon Brown, più intelligentemente rispose: questo è "nation building", no grazie.

 

Insomma, un'occasione perduta?

 

Gliela metto in italiano. Se oggi entri in un bar, e proponi l'unione bancaria, ti guardano male. Se entri in un bar e proponi una difesa comune europea sui confini, ti pagano da bere. Gli Usa a livello federale hanno uniformato le ferrovie, l'Europa invece si è occupata di tutto, arrivando fino al suicida confine del ridicolo.

 

Per esempio?

 

Penso alla mitica direttiva "toilet flushing", ritirata poco prima della Brexit. Mirava a omologare i servizi sanitari delle abitazioni europee, dai rubinetti dei lavandini alle dimensioni dei bidet. Di questioni del genere si è occupata l'Europa in questi anni.




 


Andiamo in Italia. Il prezzo dell'energia è alle stelle, scontiamo la dipendenza dal gas russo. Come impatterà questa crisi sulla stabilità del governo e sull'economia?

 

Certamente quello che è successo in Ucraina unirà le forze politiche, e ridurrà gli spazi per i conflitti interni. L'effetto politico della guerra è già evidente: la stabilità del governo. Tuttavia, il teatro politico non è fatto solo di stabilità governativa, ma anche dell'instabilità economica e sociale sottostante.

 

 

Contro Mosca partono sanzioni sempre più dure. Nel mirino il 70% delle banche e delle società statali russe. Le sanzioni faranno più male a noi che a loro?

 

In realtà ben prima della guerra era emersa chiaramente una crisi economica e sociale. Mi riferisco all'inflazione, alle torsioni e le tensioni generate da un mercato uscito alterato dopo la pandemia. Vediamo gli effetti del carovita sulle bollette, alla pompa di benzina, nel carrello della spesa. Uno scenario reso ancor più critico dall'emergenza sanitaria. Insomma, la curva dello sviluppo e del progresso, in Italia, pende verso il basso.

 

Il governo Draghi sta affrontando queste sfide con cognizione di causa?

 

La pandemia è stata gestita con un notevole tasso di originalità introdotta nella finanza pubblica, con nuove parole d'ordine: "Non è più tempo di prendere ma di dare", "il debito pubblico è buono". Oggi, terminata la pandemia, si pensa di poter continuare con la finanza espansiva e gli scostamenti di bilancio. Ma ho l'impressione che questa tecnica non sia più praticabile. Il debito è cresciuto enormemente, e le criticità italiane sono presenti su scala più intensa anche in Germania: recessione, inflazione al 7% e tassi a zero. Uno scenario critico. Ed è difficile pensare che l'Italia possa uscirne con nuove e generose regole europee e il supporto incondizionato della Bce.


 




Si annunciano nuovi interventi per calmierare le bollette dell'energia: soltanto acqua fresca?

Il carovita era già più che evidente alla fine dell'anno scorso. Quasi del tutto ignorato in finanziaria, è stato gestito in termini caotici, con due successivi decreti legge. Con risultati che purtroppo non sembrano sostanziali.

 

A Natale il premier aveva detto che il grosso del lavoro sul Pnrr era stato fatto. La partita si complica?

 

Nel 2020, con gli eurobond finalmente approvati, l'Europa si è messa dal lato giusto della storia. Detto questo, il Pnrr, che già nel nome mi ricorda i piani quinquennali sovietici, adesso rischia di impantanarsi. Una grossa fetta se la mangeranno gli effetti dell'inflazione sui prezzi delle materie prime. Bisognerà rifare gli appalti per aggiornare i prezzi schizzati in alto. Saremo costretti a indebitarci non per favorire lo sviluppo e gli investimenti, ma per mantenere gli approvvigionamenti di gas.

 

Il Pnrr senza le riforme a sostegno diventa una scatola vuota?

 

Le riforme servono, a prescindere dal Pnrr. E comunque, a oggi, queste riforme non le ho viste. Dalla giustizia al fisco, dalle pensioni alla casa, è tutto rimasto sulla carta, dopo un anno di governo. Per dirla in inglese, è tutto ancora "work in progress".

 

E questo confligge con la narrazione governativa?

 

In questo momento mi trovo sul treno, e sui pannelli luminosi stanno proiettando la pubblicità del governo sul Pnrr e sulla pubblica amministrazione.

 

È uno spot che alimenta false aspettative?

 

Più semplicemente, sono immagini irritanti e offensive. Sullo schermo si vedono persone giovani, eleganti e ben vestite. È stucchevole, mentre i cittadini comuni sono in difficoltà. Rispetto alle prospettive economiche delle famiglie, vedo un totale distacco dalla realtà.


Intervista concessa al quotidiano La Verità

 

Commenti

Post popolari in questo blog

“Come faccio io a non piangere”

Diciamo le cose come stanno: il ddl Zan è fascista

Le tre caratteristiche letterarie del nuovo libro di Patrizia Bianco. Un romanzo di genere, poi storico, soprattutto psicologico